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Difensore di grande qualità nel calcio di Liedholm, fu al centro del caso più clamoroso del 1981
Il tempo si è fermato a quel 10 maggio 1981, più o meno intorno alle 17.30. Nella memoria collettiva di una generazione – e a Roma e dintorni forse anche più di una – quello è il giorno “der gol de Turone”. Statue di sale ferme nel tempo, con i suoi protagonisti immortalati in un fotogramma: Pruzzo che fa da torre sul cross di Conti, Prandelli non riesce a fermarlo e Turone sbuca e di testa segna, la sua esultanza è spenta dalla bandierina alzata del guardalinee. Oggi il protagonista di quell’attimo, Maurizio “Ramon” Turone, compie 76 anni, nel giorno di Fiorentina-Roma. Fu un caso che fece storia come la rete “mondiale” di Hurst, “La mano de Dios” a Messico ’86 o, più vicino a noi, il gol di Muntari: nel 1981 tifosi, giornalisti, opinionisti erano sulle barricate, divisi tra chi fosse convinto che la rete fosse valida e chi no. La moviola non riuscì mai a dirimere il dubbio e il caso del gol di Turone contribuì alla diffusione dello strumento (e della sua imperfezione) nella cultura popolare. Alla fine i bianconeri conquistarono un altro scudetto. Quarant’anni dopo il caso divenne addirittura un documentario, “Er gol de Turone era bono”, in cui proprio il protagonista disse la sua dopo lustri di silenzio.
Nacque a Varazze, in provincia di Savona, Maurizio Turone detto “Ramon”. Il Genoa fu subito la sua casa e il suo primo amore: allo stadio andò per la prima volta con la mamma, che faceva la pasticciera a Varazze. Aveva otto anni, era il 1956, era il Genoa di Abbadie e Carapellese. Compie il percorso nelle giovanili rossoblù ed entra in prima squadra. Così legato ai colori del Grifone che quando lo chiama il Milan rivelò: «Ci ho pensato su, ero indeciso».
Quello che spesso non si ricorda, persa dentro la narrazione di quel Juve-Roma, è che Turone toccò con mano un altro scudetto sfumato sul traguardo. Lui era lì il giorno della “Fatal Verona”, quando i rossoneri furono travolti al Bentegodi per 5-3 e persero il titolo dopo aver vinto la Coppa delle Coppe. “Hitchcock ha detto Juve”, titolò il Corriere dello Sport. Altri due scudetti, poi, Turone li perde per mancanza di… tempismo. Nel 1979 il Milan di Liedholm conquista la stella. Turone è andato via l’anno prima, a Catanzaro. Raccontò Ramon: «Col Milan mi lasciai per problemi societari, Liedholm aveva già in mente di giocare con la difesa a zona, io e Franco Baresi: sarebbe stato bello. Andai a Catanzaro e fu un anno bellissimo. C’era Mazzone in panchina, i miei amici Orazi e Sabadini: un gruppo molto affiatato, andavamo a mangiare con tutte le famiglie almeno una volta alla settimana». Il tricolore lo sfiorò di nuovo nel 1982, quando a ottobre lasciò la Roma che avrebbe conquistato il suo secondo scudetto. Disse in un’intervista: «Sono stato sfigato (ride, nda)! Certo, non sono nella storia con quei risultati però sono ugualmente contento: a Catanzaro e a Roma sono andato alla grande». Gli anni migliori Ramon li visse proprio nella Capitale, con Liedholm che lo volle fortemente per la sua “zona”: Turone era stato libero, stopper e mediano, anche oggi con la costruzione dal basso se la caverebbe benissimo. Fu tra i primi a giocare con la maglietta fuori dai calzoncini, forse un vezzo nato ricordando la libertà delle partitelle in spiaggia nella sua Varazze. Alla fine in bacheca ha riposto: 4 Coppe Italia (due col Milan e due con la Roma), una Coppa delle Coppe e un campionato di Serie C vinto col suo Genoa, con cui collezionò 100 presenze in campionato; furono 136 quelle in rossonero dal 1972 al 1978 e 74 con la Roma, dal 1979 al 1982. Tanti auguri “Ramon”.
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