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Il Cigno di Utrecht compie 60 anni il 31 ottobre 2024: dalla sua ultima partita un viaggio nel tempo nei gol di uno dei più forti attaccanti della storia
9 maggio 1993. Allo stadio Del Conero si affrontano Milan e Ancona, i due estremi della classifica di serie A. Mancano diciassette giorni alla finale di Champions League contro il Marsiglia, la terza dell'era Berlusconi, ma i rossoneri, capolista totalitari in campionato da quasi due anni, non attraversano un momento felice. In appena sei partite l'Inter è risalita da -11 a -4 punti di distacco e in tanti pronosticano, o meglio auspicano, l'improbabile fine del dominio. Dopo mesi di esaltazione e invincibilità, con la squadra su un piano inclinato fatto di vittorie, vittorie e ancora vittorie, anche Fabio Capello sta cominciando a soffrire – come Sacchi prima di lui – i chiari di luna e l'emotività dei suoi campioni. Gullit schiuma rabbia, Savicevic e Papin si lamentano per il turnover, Rijkaard vuol tornare in Olanda e Van Basten è finito. Anche se ancora non lo sa.
La buona notizia di giornata, infatti, è il rientro del “Cigno” dal primo minuto dopo quasi cinque mesi. La sua ultima presenza è datata 13 dicembre 1992, quando ancora contro l'Ancona giocò appena quarantacinque minuti prima di arrendersi ai morsi della solita caviglia destra.
Tra i pali i marchigiani schierano Alessandro Nista, il portiere a cui Marco ha segnato con il solito rigore con il saltino il primo dei suoi 125 gol in Italia, in un 3-1 contro il Pisa del 13 settembre 1987. Nessuno, in quel momento, può immaginare che Nista sarà pure l'ultimo a subire una rete dal numero nove milanista. Per assurdo: di nuovo in un 3-1.
Il 21 dicembre 1992 Van Basten ha scelto di tornare sotto i ferri dopo oltre quattro anni per provare a risolvere una volta per tutte il problema che lo affligge dopo ogni partita. Ha appena vinto il suo terzo Pallone d'oro, ha segnato dodici reti nelle prime tredici giornate di campionato e sei in quattro in Champions, inclusi due mitologici poker l'8 novembre al San Paolo contro il Napoli e il 25 al Göteborg a San Siro, ma per lui il calcio è diventato un calvario.
Tolta la scarpetta, abbassato il calzettone e strappato il velcro del parastinco, quando osserva la sua caviglia destra fasciata – quasi immobilizzata dai fitti bendaggi che provano a custodirla – la vede ogni volta più gonfia. Se quando gioca pattina aereo su ogni campo, pure su quello “di patate” di un San Siro pieno di buche, sabbia e infide zolle, e balla sui corpaccioni di nemici a terra che sognavano di distruggerlo, tipo Pasquale Bruno o Pietro Vierchowod, in abiti civili si trascina a fatica giù dal divano.
Il medico del Milan, il dottor Tavana gli ha sconsigliato l'operazione a stagione in corso, ma Van Basten non ha voluto sentire ragioni. Il male è troppo. È volato a Sankt Moritz per mettersi nelle mani del dottor René Marti, un luminare in materia di caviglie, ma ciò che tutto sommato si teneva, dopo l'intervento si sgretola come le speranze di un recupero rapido.
La caviglia pulsa, ringhia e suda anche a riposo, e pensare che Marco sognava di rientrare già a febbraio. Il gol all'Ancona sarà il saluto fuggevole al treno che abbandona stazione: tu provi a rincorrerlo, a trattenerlo con il pensiero per non far scappare chi ami, ma quando quello si mette in moto non c'è altro da fare se non fissare il vuoto.
Come spiegato in parole povere da un giovanissimo Demetrio Albertini dopo la gara di Ancona: “Una punta come lui, la più forte del mondo, incide tantissimo. Anche psicologicamente sugli avversari”. Ma il suo simulacro, quello che scenderà in campo all'Olympiastadion di Monaco di Baviera il 26 maggio per la gara contro il Marsiglia, non sarà sufficiente a conquistare l'ennesima Coppa dei Campioni.
Contro l'Ancona, Van Basten anticipa il suo marcatore – Salvatore Mazzarano, morto a 58 anni lo scorso gennaio – su un cross da angolo di Donadoni, segnando di testa e poi esultando con il braccio destro al cielo, ma con i francesi il finale non potrà essere altrettanto semplice. Il suo contributo si limiterà a qualche sponda, alcuni bei cross, un tiro centrale e tanta sofferenza. E come tutto il Milan, dopo una sfuriata iniziale piena di rabbia ma povera di lucidità, leggero leggero si spegne la sera. Rimangono la cera e il marchio dei tacchetti di Desailly sulle caviglie, dopo un tremendo intervento “da tergo” a centrocampo.
Quel dolore, quel tremendo dolore che lo fa urlare trasfigurato al momento del contatto con il centrale francese, futuro milanista, non scomparirà più, anche se dopo il fallo si rialza con il consueto saltino, facendo sognare a tutti un destino meno cinico e baro. Ben peggiore della sconfitta.
Il Milan il 30 maggio festeggerà a San Siro dopo un 1-1 contro il Brescia la vittoria del tredicesimo Scudetto, ma Van Basten non c'è. Gullit e Rijkaard partiranno, ma la sua assenza è più disarmante. L'unico giocatore, dopo Silvio Piola, ad aver segnato a tutte e ventisei le squadre affrontate in A; l'unico capace di portare l'Olanda alla vittoria di un grande trofeo internazionale – con quel “Marcobaleno”, Guerin Sportivo dixit, in finale a Euro '88 – e unico centravanti, razza di solito più brutale che elegante, ad alzare tre Palloni d'oro in omaggio alla sua classe.
Van Basten proverà addirittura, tra giugno e settembre 1994, ad applicare un apparato di Ilizarov alla caviglia, un tragico aggeggio di tortura con ventidue perni che gli attraversano l'osso della caviglia per aiutare la rigenerazione del tessuto connettivo, ma sarà solo l'ennesimo, amaro tentativo a vuoto.
“Il calcio perde il suo Leonardo da Vinci” aveva chiosato Galliani il giorno dell'annuncio del suo ritiro, un anno e mezzo dopo Monaco, nella conferenza stampa del 17 agosto 1995. La sera dopo Van Basten scenderà in campo con una giacca di renna scamosciata prima del Trofeo Berlusconi per il suo ultimo saluto a San Siro, un capo d'abbigliamento che provoca ancora un brivido lungo la schiena dei milanisti che c'erano. Oggi compie sessant'anni, ma come fosse ieri tutti si chiedono: chissà se...
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