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Parla l’ex calciatore e dirigente dei giallorossi: «Voller tris all’Anderlcht, che emozione. All’epoca avevamo talenti come Giannini e Conti: Rudi segnò tre volte»
Una vita spesa per la Roma. Un nome che resterà per sempre legato al mondo giallorosso. Dalle parti dell’Olimpico Tonino Tempestilli ha raccolto 162 presenze e 7 reti conquistando tra l’altro una Coppa Italia nel 1991. Prima di diventare un difensore insuperabile era un tifoso della Roma. «Da piccolo devi scegliere tra Roma e Lazio. Io la scelta l’ho fatta, l’ho portata avanti anche perché ancora oggi sono abbonato e a volte seguo la squadra in trasferta», ci ha confessato l’uomo che ha ricoperto più ruoli nel club di Trigoria, dedicando anima e corpo, anche se le strade si sono divise in una maniera poco convenzionale. Tempestilli, infatti, è stato allenatore delle giovanili (uno scudetto vinto con i Giovanissimi), poi team manager, responsabile organizzativo, responsabile del centro sportivo e main contact dell’Uefa, passando complessivamente 33 anni in giallorosso prima di un addio non messo in conto. Insomma, è uno che conosce le dinamiche della Roma, avendo vissuto sulla sua pelle molte epoche, compreso l’ultimo scudetto, che si è goduto vicino a Fabio Capello in panchina. Quando giocava gli si è appiccicato addosso un soprannome particolare, “Er Cicoria”. Questo perché, proprio come la pianta selvatica, si faceva trovare in ogni zona del campo a dare una mano. Insomma, era ovunque, sempre lì a lottare. «Giannini, Conti e Pruzzo si inventarono quel soprannome», ricorda con un sorriso Tempestilli che agli inizi degli Anni 90 è riuscito a portare la Roma in finale di Coppa Uefa contro ogni pronostico, eliminando lungo il percorso squadre fortissime, come per esempio l’Anderlecht ai quarti di finale.
Tempestilli, che ricordi ha di Roma-Anderlecht?
«Affrontavamo una buona squadra, che viaggiava a mille all’ora. I ricordi sono po’ offuscati, però Voeller fece due grandi prestazioni e ci permise di accedere in semifinale».
Al ritorno l’attaccante tedesco realizzò addirittura una tripletta.
«Rudi era uno dei punti di riferimento di quella Roma insieme a Bruno Conti e Giuseppe Giannini. Facevano davvero la differenza. A Bruxelles segnò per tre volte chiudendo la pratica in anticipo. Io avevo la febbre ma giocai lo stesso. Poi a metà secondo tempo chiesi il cambio perché non mi sentivo bene. Bianchi si stranì, per fortuna mi sedetti in panchina con la qualificazione praticamente in tasca».
Nel 1991 la cavalcata si concluse in finale di Coppa Uefa. Una ferita?
«Un grande rammarico. Perdere una finale del genere davanti ai propri tifosi è la cosa più triste. Per certi versi l’1-0 dell’Olimpico, non utile per ribaltare il 2-0 di Milano, fu vissuto un po’ come l’ultimo atto dell’Europa League di Siviglia. La Roma meritava di vincere, meritava un altro epilogo contro l’Inter».
Però fu una bella avventura.
«Senza dubbio. Fu un crescendo e nessuno si aspettava di vedere la Roma in fondo alla competizione. Il calcio italiano era ben rappresentato. Ci davano per spacciati dopo il primo turno, quando incontrammo il Benfica. Poi però ci siamo compattati sempre di più, riuscendo a eliminare tanti avversari complicati».
Chi in particolare?
«Dico il Bordeaux ma anche lo stesso Anderlecht. Le squadre del Belgio hanno sempre dei punti di forza».
Che ne pensa del Royale Union Saint-Gilloise, il prossimo ostacolo della Roma in Europa?
«Le potenzialità per vincere ci sono. Ma tutte le partite vanno affrontate con la testa giusta se no fatichi. Senza andare troppo lontano mi viene in mente la trasferta contro il Bodo. Nessuno si poteva immaginare di prendere 6 gol da una squadra semisconosciuta nel panorama internazionale. Ritornando al Royale Union Saint-Gilloise dico che è un undici di media alta classifica in Belgio, se partecipa alle coppe dei valori deve averli. Non va sottovalutata».
La Roma sembra fuori dalla corsa alla Champions. Arrivare in fondo all’Europa League può essere un obiettivo?
«Credo che in questo momento sia più importante riprendere la retta via in campionato. Più passa il tempo e più è complicato agganciare la zona che vale l’Europa dell’anno prossimo. Vedo confusione. Pensare ora alla Champions mi sembra un paradosso, ma tutto può succedere».
Come si salva la Roma?
«Facendo in primis capire ai giocatori che hanno delle responsabilità importanti, ma il segnale deve partire dall’alto. I momenti difficili ci possono stare, ma devi avere le spalle larghe e chi ti indirizza a cambiare. Dispiace perché i Friedkin mancano da mesi e non danno spiegazioni. Poi non ci sono figure importanti a livello dirigenziale. Forse il club potrebbe essere ceduto a breve, ma le cose le sanno solamente all’interno».
Lei tornerebbe per dare una mano?
«Se potessi dare il mio contributo lo darei senza chiedere nulla in cambio. Sono legatissimo alla Roma. Che sia io o un altro è importante creare una nuova base dirigenziale. Per il bene della Roma farei di tutto».
Molti dicono che si sta perdendo la romanità…
«Manca e non si capiscono le motivazioni, soprattutto dopo l’esonero di Daniele De Rossi. Serve una persona competente, capace di metterci la faccia. Ghisolfi mi sembra un bravo ragazzo, ma non si è ancora calato nel calcio italiano e nella cultura romanista. Qualcuno gliela dovrebbe insegnare. De Rossi, probabilmente, poteva farlo e lo stava facendo. Ma non ha avuto molto tempo a disposizione».
Un pensiero su Juric.
«Dispiace vederlo in difficoltà: lui ha colto l’occasione però è evidente che si trova in una situazione difficile. Le scelte le fa, ma deve capire se ha a disposizione i calciatori ideali per il suo gioco o se deve adattarsi a una squadra costruita per il 4-3-3. Mancano gli esterni, inoltre gli infortuni di Saelemaekers e di El Shaarawy non l’hanno aiutato. In ogni caso non condivido le spese fatte in sede di calciomercato estivo».
In che senso?
«Sentiamo troppo la mancanza di un terzino destro di livello. Lì abbiamo solo Celik. Da fuori però è facile parlare, le valutazioni interne non le conosciamo. La cosa migliore da fare è stare in silenzio e augurarsi che la squadra possa riprendersi e dare le soddisfazioni ai tifosi della Roma, che amano questi colori più di ogni altra cosa».
La stagione di Pellegrini è complicata.
«Chi discute Pellegrini come calciatore non capisce di calcio. Non sta esprimendo il suo potenziale in questa fase. La stessa cosa sta capitando a Leao al Milan. Lorenzo è un buon giocatore, è un ragazzo che tiene tantissimo alla maglia».
Eppure è fischiato e contestato.
«Sarebbe più giusto sostenere tutta la squadra durante le partite e poi alla fine contestare in maniera civile se i tifosi lo ritengono opportuno».
Dovbyk è una nota positiva: è già a quota 6 gol.
«è stato un investimento giusto. Si tratta di un attaccante forte di testa e con i piedi, inoltre può crescere ancora. Certo, gli devono arrivare più palloni giocabili».
Hummels invece è un mistero.
«Da fuori sinceramente non capisco perché non trova spazio. N’Dicka può stare tranquillamente sul centro sinistra con Angeliño spostato sulla fascia».
La stagione di Dybala?
«è importante al di là dell’età e del fisico che non gli permette di giocare tre partite alla settimana. Paulo è straordinario se sta bene. Bisogna capire come ricominciare un percorso con lui al centro del progetto e se è meglio mettere un punto, magari puntando sui giovani. La proprietà anche in questo caso deve dire cosa ha in mente oppure cedere la Roma».
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