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Demetrio ricorda gli Europei persi nel 2000 con la Francia: «Battemmo Belgio e Orange poi quel golden gol assurdo»
«Affrontare il Belgio non è mai semplice. La mia Nazionale lo sfidò in trasferta, durante gli Europei del 2000 che vennero giocati proprio lì: anzi, in quel campionato, noi affrontammo e battemmo tutte e due le nazionali ospitanti. Prima il Belgio e poi l’Olanda. Fu un cammino straordinario, che purtroppo non ci premiò alla fine». Demetrio Albertini ricorda ancora oggi con grande partecipazione, l’avventura della Nazionale in quel campionato europeo: la squadra allenata da Dino Zoff mostrò un calcio divertente e moderno, e arrivò a pochi secondi dal successo. Fu raggiunta in extremis nella finale con la Francia e sconfitta poi al Golden Gol, durante i supplementari. «Ancora oggi quella finale rappresenta il rammarico più grande della mia carriera - conferma Albertini -. Ho perso anche la finale dei Mondiali ai rigori nel 1994, ma quel ko con la Francia fu diverso. Forse perché, dopo una vita dedicata alla Nazionale, ero certo che quell’Europeo rappresentasse per me l’ultima occasione di vincere qualcosa con la maglia azzurra. E poi perché, oggettivamente, meritavamo di vincere. Fummo protagonisti di un grande cammino: abbiamo affrontato e battuto Belgio e Olanda, che ospitavano il torneo, abbiamo giocato un gran calcio e siamo arrivati a pochi secondi dal trionfo».
Possiamo dire che tutto partì da quella vittoria con il Belgio?
«In realtà tutto iniziò da un’amichevole che giocammo e perdemmo poco prima di partire per il Belgio contro la Norvegia. Quella sfida portò la critica a scagliarsi contro di noi. Ci fecero a pezzi e nei pronostici prima dell’Europeo, non venimmo minimamente considerati. Eppure quella era una squadra fortissima, che aveva trovato un suo equilibrio speciale».
Quale?
«Il giusto mix tra calciatori esperti, come me, Conte, Di Biagio, e il gruppo di giovani emergenti, che poi sarebbero stati l’ossatura della squadra che vinse il Mondiale del 2006, come Zambrotta, Del Piero, Totti, Inzaghi, Cannavaro. Eravamo un bel gruppo, fortificato dalle critiche esterne e che in campo trovò una bella amalgama. In Italia succede spesso. Le critiche o ti abbattono o ti uniscono: e noi riuscimmo a essere molto affiatati. E poi, come detto, c’era tanta qualità».
Torniamo alla partita con il Belgio...
«Il primo pensiero è che abbiamo sconfitto la squadra che ospitava e organizzava il torneo. E non fu affatto semplice. Anche perché quel Belgio era ricco di qualità: una sorta di precursore della squadra degli enfant prodige che hanno caratterizzato la storia della nazionale fiamminga. Contro quel Belgio giocammo una grandissima partita, segnando un gol per tempo. Sbloccammo il risultato con Totti nel primo tempo e chiuse la gara Fiore nella ripresa».
Fu la gara che lanciò anche il centrocampo a tre: Albertini-Conte-Fiore...
«Ci trovavamo bene, avevamo qualità, corsa, dinamismo, gioco. Fu una mossa di Zoff che risultò decisiva. Lo stesso Belgio venne sorpreso. Conte poi segnò alla gara d’esordio con la Turchia, Fiore con il Belgio ed io, posso dire a distanza di anni, che giocai un grandissimo Europeo. Credo il migliore torneo con la maglia della Nazionale. Forse anche per l’esperienza, per la consapevolezza. In più c’erano anche Di Biagio e Ambrosini che completavano il reparto e che vennero utilizzati spesso. Ma io non uscii mai (ride ndr)».
Che vuol dire affrontare il Belgio fuori casa?
«Giocare in un ambiente molto caldo e dove la nazionale è sempre accompagnata e sostenuta. Non fu facile per noi e non lo sarà neanche per i ragazzi di Spalletti. Ti ripeto, noi affrontammo sia il Belgio che l’Olanda in trasferta: credo gli unici a battere entrambe le nazioni che organizzavano il torneo. Con il Belgio dominammo, con l’Olanda fu una gara di sofferenza e nella quale fummo anche un po’ fortunati, nonostante giocammo quasi tutta la gara in inferiorità numerica. Purtroppo pagammo quella fortuna nella finale con la Francia, dove invece gli episodi ci andarono tutti contro. Ho pensato tante volte a quella finale: se si poteva fare qualcosa di diverso. Ma oggettivamente credo che quell’Italia fece il massimo, giocando un Europeo super».
Cosa rappresentava la maglia della Nazionale per Demetrio Albertini?
«Credo sia più giusto dire cosa rappresenta. Io ho dedicato gran parte della mia vita alla Nazionale. Alla Federazione. Ho iniziato con l’Under 16 in campo, poi le nazionali giovanili, fino ad approdare alla prima squadra, giocando 79 gare con l’Italia. Una volta smesso sono rimasto nel mondo azzurro come dirigente federale, ruolo che occupo da quasi sedici anni. Per me la Nazionale è la mia famiglia. Sono più di quarant’anni che vivo e lavoro con l’azzurro addosso. Per me è una seconda pelle».
L’Italia di oggi è paragonabile a una delle Nazionali nelle quali ha giocato?
«No e per un semplice motivo. Le squadre di club oggi ti formano meno a livello internazionale, rispetto agli anni in cui giocavo. Ci sono pochi italiani che giocano con continuità nel nostro campionato e ancor meno italiani che disputano partite di livello in Europa. Paradossalmente, per molti giocatori di oggi è la Nazionale a essere formativa per i club e non il contrario. Ai miei tempi, si arrivava a vestire la maglia azzurra dopo aver giocato tante gare di serie A e nelle coppe. Oggi, per i giovani italiani, non è più così».
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