Salsano: Roma, meritavi quella Coppa Uefa

Salsano: Roma, meritavi quella Coppa Uefa

L’ex centrocampista ricorda la doppia sfida con il Benfica del 1990: «Battemmo la squadra favorita ma l’Inter ci beffò in finale». E su Saud il collaboratore di Roberto Mancini dice...

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Tre anni di Roma. Tre anni intensi. Fausto Salsano era un centrocampista veloce e tecnico, un valore aggiunto nella rosa giallorossa all’inizio degli Anni 90. Il suo nome è rimasto legatissimo alla Sampdoria, ma nella Capitale ha vissuto un’esperienza «fantastica e impossibile da dimenticare». Parole sue. Era in campo per Roma-Benfica, per l’andata dei trentaduesimi di finale della Coppa Uefa del 19 settembre del 1990. Sulla carta una sfida impossibile perché dall’altra parte c’erano i portoghesi, vice campioni d’Europa in carica. Per tutti quella sfida era un massacro annunciato. Invece no. La Roma vince 1-0 all’Olimpico grazie al gol lampo di Carnevale e poi si ripete al ritorno, mettendo sull’almanacco un altro 1-0 che vale l’accesso al turno successivo e l’eliminazione della squadra (sulla carta) favorita. Da lì in poi la Roma non si ferma più e arriva fino alla finalissima, poi persa nel doppio confronto contro l’Inter. Salsano ha vissuto quella cavalcata dentro lo spogliatoio della Roma. Nella sua seconda vita si è imposto come vice e collaboratore tecnico di Roberto Mancini. L’ha seguito all’Inter, ma anche all’estero, in particolare tra Inghilterra (Manchester City), Turchia (Galatasaray) e Russia (Zenit San Pietroburgo). Inoltre, ha lavorato per l’Italia e per l’Arabia Saudita, allenando in queste due nazionali tanti giocatori della Roma del presente, alcuni attesi dalla sfida contro il Braga in Europa League. Leggi in primis i nomi di Mancini, Pellegrini, Cristante, ma anche di Saud Abdulhamid, il primo arabo che ha messo piede nel Vecchio Continente tra molte ombre e qualche luce, vedi l’assist per il gol di Pisilli così come il rigore regalato al Lecce. Insomma, Salsano conosce il mondo giallorosso dall’interno.  

 

Salsano, riavvolgiamo il nastro: Roma-Benfica del 1990. Se la ricorda?  

«Mi ricordo soprattutto Eriksson sulla panchina del portoghesi, un personaggio grande, immenso. Ho un ricordo speciale anche perché successivamente sono stato allenato da lui. Prima che ci lasciasse l’ho incontrato: è stata un’emozione fortissima»

E la partita?  

«Difficilissima. Il loro era un calcio massiccio e avevano tanti calciatori forti. Il gol iniziale ci ha aiutato, abbiamo anche sofferto ma alla fine abbiamo dimostrato di avere cuore e gamba». 

 

Peruzzi fu uno dei migliori in campo…

«Lui era un predestinato tra i pali. Era forte nella testa come nel fisico. Ha fatto una carriera da campione. Era nelle sue corde giocare ai massimi livelli. Contro il Benfica fu semplicemente eccezionale». 

 

Voeller o Giannini: chi era l’anima di quella Roma? 

«Tutti e due. Il tedesco era un esempio per tutti, fuori e dentro il campo, Giannini era un grande campione, anche se a volte la sua timidezza faceva pensare che fosse scorbutico. Invece era un leader serio ed educato. La Roma in quella fase aveva tanti elementi di spessore». 

 

Chi? 

«La lista è veramente lunga. Da Conti ad Aldair, da Nela a quel fenomeno di Hassler». 

 

Dal Benfica è iniziata una cavalcata senza sosta in Coppa Uefa. 

«Sì, più andavamo avanti e più ci credevamo. Peccato per la finale persa contro l’Inter in maniera immeritata. Venivo da Genova, dove avevo alzato al cielo la Coppa della Coppe, quindi speravo di fare il bis». 

 

Come erano e come sono le squadre portoghesi? 

«Non sono cambiate molto. Hanno una tradizione, si portano dietro una filosofia che è nel loro dna. Ci tengono a insegnare calcio. E non hanno paura di lanciare i giovani che sono il futuro. L’Italia è indietro sotto questo aspetto anche se qualcosa si sta muovendo in direzione opposta, basta vedere la storia di Pisilli nella Roma». 

 

Lei ha “rischiato” di lavorare a Trigoria, alla Roma, dopo l’esonero di Juric? 

«Roberto Mancini è stato chiaro: nessuno l’ha chiamato per allenare la Roma. Di solito, quando c’è qualcosa in ballo, avverte il suo staff.

E non è successo nulla. Quindi non ho mai “rischiato” (ride)».

Però le sarebbe piaciuto tornare in giallorosso? 

«Sarebbe stato un sogno. Da ex Roma sarei felicissimo di tornare. Mai dire mai».  

 

Ranieri è l’uomo giusto in questo momento? 

«Penso di sì. Anzi, è l’unica scelta logica per sistemare una stagione nata sotto una cattiva stella. Ranieri è un allenatore con un curriculum importante, ma anche un uomo che può dare qualcosa in più. Conosce la città, ama il calcio veramente e inoltre sa come muoversi dall’alto della sua esperienza».  

 

Il vento è cambiato dopo la vittoria contro il Lecce? 

«Vincere aiuta a vincere e i tifosi ci tengono. Ma è logico che la Roma non può stare dove sta adesso in classifica. Con questa partenza falsa sei costretto a rincorrere e quando rincorri puoi prendere qualche sberla e poi la paghi. Ranieri sta sistemando la squadra, però deve avere anche il tempo per mettere giù le sue idee e quindi fare rendere i giocatori importanti al massimo». 

 

Roma-Braga come finisce? 

«I giallorossi hanno la qualità per imporsi, è giusto voler andare avanti in Europa League, però la priorità deve essere risalire in campionato». 

 

Si è fatto un’idea sul caso Pellegrini? 

«L’ho allenato in Nazionale, è un ragazzo che va stimolato, ha bisogno di sapere che attorno a lui c’è la fiducia. Tecnicamente è forte. È serio, è un lavoratore, ma è anche introverso. Credo che sia solo un momento così. Sicuramente tornerà a splendere». 

 

Alcuni dicono Saud Abdulhamid non sia un giocatore da Roma.… 

«Tra tutti quelli che ho allenato in Arabia Saudita dico che è uno dei pochi che può stare in Europa. È il primo arabo che viene fuori, quindi non è semplice, perché è stato catapultato in un mondo completamente diverso. Lui però ha corsa e tecnica. Credo che possa fare meglio di quello che ha fatto finora. Ha giocato poco. Le qualità ci sono. Serve solo tempo».

 

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