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Una rivalità accesa che passa per campanilismi, scudetti reclamati e cessioni clamorose da Roberto Baggio a Vlahovic
“L'odio chiama l'odio” diceva Hubert in quel meraviglioso film francese in bianco e nero del 1995 intitolato, appunto, L'odio. Era l'odio di ragazzi della banlieue verso quel mondo opulento fatto di borghesi, sbirri e benpensanti che li schiacciava senza pietà nel loro ghetto, nulla a che fare con la “sana”, si fa per dire, rivalità sportiva che divide due tifoserie. Un sentimento che nel caso di Juventus e Fiorentina vive negli striscioni – tra i meno offensivi il viola “Orgogliosi di odiarvi da sempre” – ed è sfociato addirittura in rivolte di piazza, come quando Roberto Baggio passò in bianconero nell'estate 1990.
I fiorentini manifestano il loro odio con la visceralità che è propria al campanilismo toscano, mentre i più composti sabaudi si limitano a mostrare un ostentato sdegno verso una squadra che secondo loro “Non conta un c****”. “Il Viola Park l'ha pagato la Juve” scherzava “Tuttosport” qualche tempo fa, ricordando che con le cessioni agli acerrimi rivali di Chiesa e Vlahovic, centoquattordici milioni complessivi, la Fiorentina si è pagata l'intero costo del suo nuovo, super tecnologico e accessoriato centro sportivo, mettendo da parte addirittura un milioncino d'avanzo.
Insomma, Juventus e Fiorentina fanno il gatto col topo dalla quasi cent'anni, ovvero da quando un giornale locale titolò “Firenze, un… dici nulla?” dopo una goleada datata 8 ottobre 1928. O perlomeno è così che la si racconta.
La Fiorentina è neopromossa e “nuovissima ai cimenti della Divisione superiore” e alla seconda giornata è ospite al Campo Juventus di corso Marsiglia. Finisce 11-0 per i bianconeri, con Munerati, Galluzzi e Vojak autori di tre gol a testa. I conseguenti sfottò diventano la pietra angolare dell'odio.
Passano gli anni e nella stagione 1949-50 la cavalcata che riporta lo Scudetto sulle maglie della Juventus comincia alla prima giornata con un sonoro 5-2 inflitto alla Fiorentina a Torino, firmato da Boniperti, Martino e una tripletta del futuro capocannoniere Hansen. Chiunque, tuttavia, in qualche modo ricorda ciò che è accaduto nella gara di ritorno a Firenze, pure se non lo sa: il 15 gennaio 1950 Carlo Parola si esibisce in quella strepitosa rovesciata volante che diverrà il marchio imperituro delle figurine Panini. La partita si concluderà in uno scialbo e infreddolito 0-0.
La Fiorentina è ancora poco più di una comprimaria nel campionato italiano e i confronti con la corazzata bianconera finiscono spesso in goleada, soprattutto a Torino, ma nel 1953 si è da poco seduto in panchina Fulvio Bernardini, il “dottore del calcio” e qualcosa sembra stia cambiando.
I viola battono Roma, Novara e Udinese e si avvicinano alla sfida ai bianconeri del 22 febbraio 1953 con il morale altissimo: finisce 8-0 per la Juve, con doppiette di Boniperti, Carapellese e il solito bombardiere danese Hansen. Come detto in telecronaca: “Una Waterloo”.
L'odio monta, la viola comincia a farsi squadra e a intraprendere il percorso che la porterà allo Scudetto nel 1955-56 e alla finale di Coppa dei Campioni l'anno dopo, ma è nel 1968-69 che la rivincita può dirsi compiuta.
L'11 maggio 1969, a due giornate dal termine, la Fiorentina “yè-yè” guidata dal “Petisso” Pesaola è al primo posto in campionato con due punti di vantaggio sul Milan. I rossoneri giocano di sabato a San Siro contro il Napoli e impattano 0-0, regalando ai viola l'occasione di festeggiare con la matematica. Tutto bellissimo, se l'avversaria non fosse la Juve a Torino.
Il primo tempo si chiude sullo 0-0, ma i bianconeri sfiorano il vantaggio. I diecimila viola presenti, più quelli attaccati alla radio, già vedono lo spettro di un titolo da conquistare all'ultima giornata e i sorrisetti di scherno dei rivali, ma Pesaola ostenta calma. E i suoi vincono 2-0 con Chiarugi e Maraschi che firmano il successo più bello.
Nel 1981-82 la Fiorentina è tornata a lottare per lo Scudetto dopo dieci anni d'anonimato e ha in Antognoni l'uomo della provvidenza. Peccato che a fine novembre, in uno scontro di gioco con il portiere genoano Martina per poco non rischi di rimetterci la vita in campo.
Pur senza il suo leader, la prima Fiorentina dei Pontello riesce comunque a farsi largo e a una giornata dal termine si ritrova in testa appaiata a pari punti con la Juventus, con cui ha pareggiato 0-0 sia all'andata che al ritorno. Così, sarebbe spareggio.
Più di ogni altro episodio, la trentesima giornata del 16 maggio 1982 è la chiave per capire quell'odio viscerale che i fiorentini nutrono per la Juve: i viola pareggiano a reti bianche a Cagliari ma reclamano per un gol non dato a Ciccio Graziani, mentre i bianconeri vincono 1-0 a Catanzaro grazie a un tiro dagli undici metri di Brady, dopo che l'arbitro ne aveva negato uno ai calabresi.
Dopo la partita, Antognoni aveva confessato amaro: “A queste sfide non siamo pronti e l'anno prossimo piuttosto d'illudermi preferirei un campionato di metà classifica”.
E proprio all'anonimato andrà incontro troppo spesso la Fiorentina negli anni successivi, fino all'esplosione della coppia Baggio-Borgonovo e alla grande delusione di una Coppa Uefa persa già nella finale di andata al Comunale di Torino, il 2 maggio 1990.
Un 3-1 perentorio che aveva fatto seguito al contestatissimo annuncio del passaggio del futuro Divin codino alla Juventus. Altro grande momento di rottura nel rapporto tra le due squadre ed evento scatenante la “guerra civile” del 18 maggio a Firenze per opporsi a una cessione che contrastava il volere del giocatore stesso.
Negli anni seguenti, la Fiorentina assaggerà la B e al rientro in A dovrà assistere quasi impotente alla rimonta da 0-2 a 3-2 del 4 dicembre 1994 al Delle Alpi che proietterà la Juve di Lippi, Vialli e del nuovo idolo Del Piero – in gol con il famoso esterno al volo su lancio dalle retrovie – verso un nuovo Scudetto. Un titolo che troppe volte i viola, depauperati di talento dalle tante cessioni ai bianconeri, non hanno potuto mai nemmeno sognare. E poi è normale che uno si arrabbi.
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