Cha paura per Manfredonia

Cha paura per Manfredonia

30 dicembre 1989, dopopochi minuti dall'inizio di Bologna-Roma il centrocampista giallorosso si accascia a terra e lo stadio piomba nel silenzio

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Il fischio d'inizio di una delle tante partite che aveva e avrebbe ancora giocato; pochi minuti dopo il triplice fischio che chiudeva un'intera vita calcistica. Anche se le sue orecchie non poterono sentirlo, perché avrebbe ripreso conoscenza soltanto all'Ospedale Maggiore di Bologna, Lionello Manfredonia.

Cinque minuti nel corso di un primo tempo gelido come può essere il clima a Bologna un 30 dicembre, nella fattispecie quello del 1989. Chi era allo Stadio "Dall'Ara" quel pomeriggio ricorda il freddo che penetrava ovunque, nell'era dei piumini e dei giacconi anche pesantissimi, ma precedente a quella dei tessuti realmente isolanti a livello termico.

 

In parecchi, all'inizio, diedero la colpa al freddo. In effetti, avremmo saputo dopo, l'arresto cardiaco, che dopo essersi verificato in campo si era ripetuto in ambulanza e grazie al defibrillatore era stato evitato il peggio soltanto alla quarta scarica, non era avvenuto a causa di un infarto. Sono due cose diverse, che a volte vengono confuse. La coronografia non riscontrò cicatrici sul cuore, né lesioni alle arterie coronariche o stenosi. La temperatura gelida è possibile che abbia avuto un'incidenza decisiva; per di più, Lionello Manfredonia viveva una situazione di stress emotivo in seguito alla perdita di sua madre.

 

La paura su 90° Minuto

 

Le immagini se le ricordano tutti; all'epoca le vedemmo per la prima volta durante "90' Minuto", con la riproposizione ossessiva dei fotogrammi accompagnati dall'audio così straniante, col clamore dello stadio che si attenuò di colpo, come se qualcuno avesse abbassato il volume a zero, repentinamente.

Siamo dentro al sesto giro di lancetta di Bologna-Roma, stagione 1989-90; Manfredonia ha appena anticipato di testa Bruno Giordano, l'ex compagno alla Lazio e l'amico di una vita, col quale ha condiviso tanti passaggi di carriera e anche vicissitudini come la squalifica per il primo, epocale scandalo del Calcio - scommesse. Qualche secondo ancora e, nel cuore dell'area romanista, Manfredonia frana a terra, dopo qualche passo incerto.

Si capisce subito che si tratta di qualcosa di grave, oltre che di anomalo. I meno giovani in quel momento non possono non tornare con la memoria alla tragedia di Renato Curi, durante quel tragico Perugia-Juventus dell'ottobre '77.

Capannello di compagni, avversari, staff sanitari delle due società, qualche fotografo che tenta di avvicinarsi. I medici del Bologna collaborano con lo staff della Roma, guidato dal Dottor Alicicco; lo storico massaggiatore giallorosso Giorgio Rossi riesce a disserrare le mascelle di Manfredonia con la forbice di Hemark, un particolare strumento con un beccuccio in grado di creare un varco nella dentatura chiusa, Alicicco pratica prima il massaggio cardiaco, poi la respirazione bocca a bocca. Meno di un quarto d'ora dopo Manfredonia è già in ospedale.

Quando esce dal coma, quarantadue ore dopo, è la mattina del primo giorno di gennaio del 1990. Il centrocampista classe 1956, romano del quartiere Parioli, dieci stagioni alla Lazio, due alla Juventus e nel mezzo del suo terzo anno da romanista, non può ancora rendersi conto del fatto che la sua carriera è finita, a trentatré anni, sull'erba ghiacciata del "Renato Dall'Ara", dopo un anticipo di testa sul più caro amico che abbia nel mondo del calcio. Da quel momento Bruno Giordano, come ogni altro giocatore in campo, è un ex collega di Lionello Manfredonia.

 

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