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Quando si rivelò con lo maglia dello Sporting, tutti capirono che il futuro CR7 sarebbe stato uno dei calciatori più dominanti del XXI secolo
Del sorriso sghembo, poi ricostruito da zero, di Cristiano Ronaldo ai tempi dello Sporting Lisbona hanno parlato tutti. Dei suoi ricci ingellati, quasi pietrificati, con le punte ossigenate tanto vezzose quanto primi Duemila, pure. Così anche di quella famosa amichevole del 2003 tra i Leões e il Manchester United, conclusa 0-0, che si dice abbia convinto sir Alex Ferguson a staccare un assegno da quindici milioni firmando un patto con quel diavolo di Jorge Mendes. C'è qualcosa della sua bio rimasta ancora segreta?
Per capire quanto siano scese nel personale le notizie sulla sua infanzia, basterebbe ricordare che sua madre, Dolores Aveiro, ha raccontato di aver pensato seriamente di abortire, tanto era difficile la situazione in famiglia quando è stato concepito. La sorella Katia ha detto di essere stata morsicata al volto da un topo in casa, tanto erano disperati. Mentre lui stesso ha spiegato in lacrime le difficoltà ad avere una vera conversazione con suo padre, quasi sempre ubriaco. Il suo immenso talento nel calcio l'ha portato dodicenne, nel 1997, lontano da Funchal, dagli amici e dalle sue radici isolane, spingendolo col tempo a interiorizzare una disciplina militaresca e un autocontrollo sovrumano.
Cristiano, per sua fortuna, ha sempre avuto il pallone per amico e le sue abilità non sono mai state un segreto. Un servizio inglese del 2001 ha raccontato le giovanili dei Leões che potevano contare pure su Ricardo Quaresma, il re della Trivela. L'ex interista, diciotto mesi più grande, e Cristiano Ronaldo vengono definiti le “stelle più brillanti” della cantera lusitana. Il parallelo “estetico” e nello stile di gioco più comune all'epoca era con Luis Figo: “È chiaro come questi ragazzi della strada abbiano l'X-Factor” concludeva il commentatore.
Andrea Schianchi ha raccontato qualche anno fa sulla “Gazzetta” che poco prima che il Manchester United affondasse le sue grinfie sul giovane Ronaldo, il Parma era a un passo dal portarlo in Italia. A luglio 2003 lo Sporting pare chiedesse dodici milioni e mezzo, ma Tanzi – a pochi mesi dal crac Parmalat – non voleva investirne più di dieci. I ducali dovevano rimpiazzare Mutu, appena girato al Chelsea per quasi il doppio della richiesta portoghese, ma a Collecchio avevano talmente tanti problemi contabili che quei soldi saranno stati inghiottiti da chissà quale vortice finanziario.
I report sulle qualità fisiche e tecniche di Ronaldo erano entusiasti e Prandelli, allenatore gialloblù, vedendolo in televisione pare avesse detto: “Questo bisogna prenderlo subito. Si vede che è un fenomeno”. In Inghilterra erano stati più svelti.
C'è un video in rete della conferenza stampa di presentazione di CR7 a Old Trafford che ricorda tanto la sigla di The Office Uk, in un'estate 2003 di Manchester che pare un inizio novembre italiano, in cui Ferguson chiosa a proposito del nuovo arrivato: “È un enorme talento. Vuole il pallone tutto il tempo”. O almeno è ciò che sono stato in grado di tradurre dall'inglese masticato del rubizzo genio scozzese. Parole che pesano dette da uno come lui.
Al termine di una delle prime gare di Cristiano con i Red Devils, un giornalista sta intervistando Gary Neville, premiato come uomo partita con una grossa bottiglia di champagne. A un certo punto il giovane talento portoghese viene invitato davanti alla telecamera e mostra tutti gli impacci, l'acne puberale e le timidezze di ogni diciottenne. Osservarlo conoscendo l'odierno piglio da generale prussiano ha un effetto comico.
Gli chiedono se si senta “More confident” partita dopo partita, più sicuro di sé, ma lui la parola “confident”, peraltro molto simile al portoghese “confiança”, proprio non la conosce e comincia a fare smorfie e ridacchiare. Neville gliela ripete piano e ad alta voce, come si fa quando si indica la strada a un forestiero, “CON-FI-DENT”, ma Ronaldo non capisce ed esce dall'impasse facendo divertire tutti con una linguaccia. “Urla che vuole la palla, dribbla tutti” lo etichetta l'ex allenatore del Valencia per il pubblico britannico e Cristiano resta lì pacifico ad ascoltare, mentre parlano di lui in una lingua che non conosce.
La sua carriera è ancora agli inizi, ma sembra già che abbiano tutti un'idea precisa sulle sue qualità: non è sicuramente uno come tutti gli altri.
Cristiano Ronaldo versione portoghese era un giocatore più simile a Denilson che a George Best, l'attaccante a cui è stato paragonato più spesso nelle sue annate inglesi. In biancoverde prendeva palla a ridosso della linea laterale, spesso all'altezza del centrocampo, e sfidava in dribbling un avversario dopo l'altro, fino alla linea di fondo. Non era ancora il super centravanti di movimento degli ultimi anni, ma nemmeno un'ala dal gol facile come la sua versione inglese: “Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane” scriveva Italo Calvino nel Visconte dimezzato.
Com'è normale per un ragazzino, le sue doti di tiro non erano paragonabili a quelle sviluppate negli anni successivi. La sua struttura fisica, sebbene già importante, più o meno la metà di quella attuale. Saltava all'occhio soprattutto per i suoi trick, per il dribbling secco e arabescato e per l'assoluta tensione verticale del suo gioco. Niente male.
Cristiano ha esordito in prima squadra con il numero 28 a Lisbona il 14 agosto 2002, mezz'ora contro l'Inter nel terzo turno preliminare di Champions League, passando tra Di Biagio e Coco con una ruleta, e ha realizzato i primi due gol al debutto da titolare il 7 ottobre contro la Moreirense. Nelle trentuno prestazioni complessive con la maglia dello Sporting ne segnerà altri tre.
Era un altro essere umano rispetto a quello di oggi e quasi ventitré anni non sono passati invano, ma già in quel lontano inizio di millennio gli addetti ai lavori avevano pochi dubbi sul suo conto.
Oggi che compie quarant'anni c'è ancora qualcuno che non se n'è accorto?
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