Chierico e un Milan-Roma particolare

Chierico e un Milan-Roma particolare

Intervista all'ex esterno giallorosso sulla sfida del giugno 1984. «Noi arrivavamo dalla botta della finalissima della Coppa dei Campioni persa con il Liverpool ma trovammo la forza per reagire e passare il turno con un successo decisivo a Milano»

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Mi ricordo che disputammo una grandissima partita quella sera a San Siro, fino ai supplementari; su tutti Toninho Cerezo, autore dei due gol, il primo all’inizio della partita e il secondo all’inizio del primo tempo supplementare, però resto ancora oggi orgoglioso soprattutto della prestazione corale: per quel quarto di finale di Coppa Italia, con l’andata all’Olimpico, ci toccò tornare in campo pochissimi giorni dopo il Liverpool. Era il Milan di un signor allenatore come Ilario Castagner e che già annoverava giocatori del calibro di Baresi, Evani, Tassotti, Filippo Galli… la mia sensazione sin dai primi minuti fu che saremmo stati in grado di trasformare la rabbia in orgoglio e voglia di regalare perlomeno la Coppa nazionale ai nostri tifosi».

La nostra chiacchierata con Odoacre Chierico inizia proprio dal ricordo di una Roma corsara a San Siro, anche se in quel caso si trattò di un turno di andata e ritorno, con la squadra e la tifoseria ancora tramortite dalla finale della Coppa dei Campioni persa il 30 maggio 1984, soltanto dieci giorni prima di quel Milan-Roma di ritorno. Il 7 giugno, le due squadre avevano pareggiato 1-1 all’Olimpico.

Come avete fatto a “rimuovere” la più tremenda delusione europea della storia romanista e rigettarvi a capofitto in quella Coppa Italia che avete poi vinto?

«Era un mondo diverso, c’erano altri uomini, non solo in ambito calcistico; c’erano individui di maggior spessore in ogni settore della società. Per quanto riguarda la domanda nello specifico, avevamo capito subito che onorare l’impegno in Coppa Italia sarebbe stato il modo più salutare per superare, almeno in parte, quel grandissimo dolore che in ambito sportivo avevamo patito contro il Liverpool. Così facemmo. Sono molto orgoglioso di quel percorso proprio per questo motivo e perché la memoria di quel trofeo si lega al ricordo di due grandissimi uomini e due grandissimi esempi: Dino Viola e Nils Liedholm. Il Presidente, con la maiuscola, era uno che poteva apparire freddo e distaccato all’esterno ma in realtà era un passionale che per la Roma ha dato tutto se stesso; il Barone era abbastanza simile per certi aspetti, da maestro quale era seppe toccare le corde giuste per ricaricarci, ricostruendoci nel morale e infondendoci nuova carica agonistica. Entrambi, poi, avevano una caratteristica che li rendeva dei giganti, già all’epoca e ancora di più al confronto con il calcio di oggi: non parlavano molto, perché gli insegnamenti più importanti li comunicavano attraverso l’esempio e io gli esempi che ho avuto da loro me li porto dentro ancora oggi. Devi sapere, poi, che quella grande Roma era anche una famiglia e proprio come in una famiglia che ha alla base i giusti valori riuscimmo tutti a risollevarci dandoci sostegno l’un l’altro, a cominciare da quella fondamentale vittoria a San Siro».

Devo tornare un attimo a quella sera del 30 maggio ‘84, per chiederle del suo rammarico particolare, forse doppio rispetto ai suoi compagni, perché Lei era designato come quinto rigorista e le fu negata la possibilità, per come andarono le cose

«Ci ho pensato tante volte e ogni tanto ci penso ancora; sui rigori ci eravamo allenati tantissimo, te lo assicuro. Destino volle che dalla lista dei rigoristi certi quella sera, quando già dovevamo fare a meno di Maldera per squalifica, furono depennati Pruzzo e Cerezo, entrambi usciti per infortunio. Originariamente nella lista non c’erano Conti e Graziani, che però da grandi uomini quali sono sempre stati non esitarono un attimo ad assumersi la responsabilità. Li ringrazierò per sempre perché così facendo dimostrarono che la Roma veniva in ogni caso prima di tutto il resto, anche prima del rischio di assumersi una responsabilità enorme».

Quella Coppa Italia la vinceste poi nella doppia finale contro il Verona, con Agostino Di Bartolomei che alzò il trofeo al termine della gara di ritorno all’Olimpico. Era la sua ultima Roma: avvertivate anche la tensione data dal suo addio?

«Devi sapere che il Capitano era la nostra guida, non ci avrebbe mai condizionati per un suo stato d’animo. Non avrebbe mai tradito un malumore, più che comprensibile, o un momento di debolezza con quella finale in ballo. Avevo un grande affetto per lui; lo stimavo come uomo e come compagno e lo stimo al presente quando penso a lui. Dopo la tragedia, la mia incredulità, assieme al grande dolore, furono dovuti al fatto che, viste le scelte che aveva fatto e il luogo scelto per vivere e insegnare calcio, io credevo che fosse davvero felice: lo credevo al punto tale che pensavo di ispirarmi alle sue scelte una volta terminata la mia carriera».

Venendo al presente, le è piaciuta la Roma contro il Napoli?

«Mi è piaciuta molto perché ha fatto una partita orgogliosa, soprattutto per la soglia agonistica, senza mai mollare fino alla fine e strameritando il raggiungimento del pareggio».

L’avevano sorpresa le scelte di Ranieri quando ha letto la formazione scelta?

«Ho pensato, sul momento, che in effetti si trattava di un evidente stravolgimento rispetto alle ultime formazioni schierate. Subito dopo però ho anche riflettuto sul fatto che lui non è uno da salti nel vuoto, che ci doveva essere un criterio anche dietro tutti quegli avvicendamenti e lo svolgimento della partita mi ha dato conferme in questo senso: dopo aver coinvolto il massimo numero possibile di giocatori, si è potuto permettere dei cambi che hanno caratterizzato la partita in positivo, a cominciare come sempre da Dybala, che è in grado di cambiare le cose anche in dieci minuti, soprattutto con i ritmi che si abbassano».

Cosa o chi sarebbe dovuto arrivare da questo mercato di gennaio?

«Giocatori da Roma, per il valore che do io a questa espressione. Senza entrare nel dettaglio dei ruoli. Giocatori da Roma».

Lei che a San Siro ha vinto, in Coppa Italia, dice che anche stavolta si può fare, pur con la partita secca e col Milan che sfrutta il fattore campo?

«Il Milan è una grande squadra, oltretutto con l’innesco di un uomo di grande esperienza internazionale come Walker; anche loro, al pari della Roma, hanno giocato molto nelle ultime settimane. Saranno decisivi gli episodi ma sono certo di una cosa: sotto l’aspetto del carattere la Roma con Ranieri si è rasserenata e ora è più alta la soglia dell’autostima. Potrebbe essere un fattore decisivo».

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