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Il classe '55 vinse lo scudetto 1978-79 con i rossoneri. Poi fu l’anima dell’Ascoli di Mazzone
Il calcio in fondo è uno sport semplice: dribbling, assist e gol conquistano il cuore dei tifosi e le prime pagine dei quotidiani; altre volte è il carisma o la dedizione silenziosa alla causa ad aprire una breccia nelle emozioni degli appassionati. Compie 70 anni il 18 febbraio 2025 Walter De Vecchi, nome da collocare sotto la seconda colonna, quella della leadership silenziosa, il calcio dei mediani di Luciano Ligabue, quello di chi ha scritto la storia senza cercare la luce dei riflettori, ma con il sudore e la passione di chi vive il calcio come un’arte operaia.
Il cammino di Walter De Vecchi nel calcio professionistico inizia con gavetta e sacrificio: cresce nelle giovanili del Milan, una partita in prima squadra per poi essere dirottato in prestito a Varese e dopo tre stagioni solide a Monza. Torna a vestire la maglia rossonera nella stagione 1978-79, quella della stella. Nils Liedholm in panchina miscelava già sapientemente veterani e giovani talenti, il Milan così trova un equilibrio perfetto. Con la sua intelligenza tattica e la capacità di recuperare palloni, De Vecchi diventa una pedina fondamentale. E non solo in fase difensiva: i suoi gol sono determinanti, soprattutto la clamorosa doppietta nel derby di ritorno contro l’Inter. Ottantesimo minuto, poi ottantanovesimo: due squilli che tuonano come una condanna per i cugini nerazzurri e che scrivono il nome di De Vecchi a caratteri cubitali nella storia rossonera.
Anche nella stagione successiva il suo rendimento resta elevato, ma il Milan finisce travolto dallo scandalo del Totonero, retrocedendo in Serie B. De Vecchi, legato ai colori rossoneri, decide di rimanere e contribuisce alla promozione immediata. Ma il calcio, si sa, è fatto di scelte e di strade che si separano: il nuovo corso del Milan, guidato dal presidente Giuseppe Farina e dall’allenatore Luigi Radice, non prevede più il suo nome. Così, il centrocampista si ritrova a salutare casa sua.
Fu l’Ascoli del vulcanico presidente Costantino Rozzi a volerlo, ironia del destino proprio per sostituire quell’Adelio Moro, approdato nel frattempo al Milan. Un passaggio che cambia la carriera e la vita di entrambi. Ad Ascoli De Vecchi trova una seconda casa, diventando un punto fermo della squadra marchigiana e vivendo tre campionati da protagonista con 84 presenze e 11 reti. A guidarlo in panchina c’è il sanguigno Carletto Mazzone, un tecnico capace di trasformare ogni partita in una battaglia. Con lui, Walter impara un calcio ancora più tattico e rigoroso, adattandosi perfettamente al DNA della squadra bianconera. E accanto a lui, un altro Walter: Novellino. Erano amici, compagni di squadra e interpreti di una formazione che faceva sognare i suoi tifosi, conquistando risultati importanti con il cuore e la grinta.
Nel 1984 De Vecchi passa al Napoli, trovandosi a condividere lo spogliatoio con Diego Armando Maradona, alla sua prima stagione in Italia. Fu un’esperienza breve ma importante, che lo porterà poi a vestire le maglie di Bologna e Reggiana, dove chiuse la carriera nel 1992 dopo 6 intensi anni e 184 presenze in campionato. Ma il suo viaggio nel calcio non finisce lì. Torna al Milan, questa volta nelle giovanili, dedicando il suo sapere ai ragazzi del futuro. Guida gli Allievi, vince trofei e contribuisce alla crescita di giovani talenti, trasmettendo quei valori che lo avevano reso grande: sacrificio, umiltà e dedizione. Ancora oggi il suo nome riecheggia tra i campi di Milanello, come quello di un uomo che il Milan lo ha vissuto, sofferto e amato fino in fondo. Perché ci sono calciatori che si esaltano per i gol, chi per i dribbling e quelli che vivono con il calcio, poi c’è chi in silenzio guida i compagni e dà l’esempio e che in fondo vivono per il calcio. Walter De Vecchi appartiene a questa seconda, nobile categoria.
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