Parolo: In Coppa è spesso una super Lazio

Parolo: In Coppa è spesso una super Lazio

Aspettando Inter-Lazio. L’ex centrocampista ricorda il successo a Milano nel 2017: «Che sofferenza nel finale e poi che gioia con la Roma»

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Quella gara di San Siro non la posso dimenticare. Fu una sfida ricca di colpi di scena e di emozioni. Sembrava che potessimo portarla a casa con facilità, ma nel finale fu tutto più complicato. Alla fine però ce l’abbiamo fatta». Marco Parolo era in campo il 31 gennaio del 2017, quando la Lazio espugnò San Siro, sconfiggendo l’Inter 2-1 nei quarti di finale di Coppa Italia, e approdando nella semifinale della competizione, dove poi riuscì ad eliminare la Roma nel doppio confronto. «Fu una gara molto intensa, come spesso accadeva a San Siro. Affrontare l’Inter in trasferta, con la carica di un intero stadio non era mai semplice».

 

Cosa ricorda di quella gara?
«Che andammo in vantaggio con Felipe Anderson, che fece un gran gol di testa, che raddoppiammo con Biglia su rigore e che l’Inter rimase in dieci uomini».

 

Avanti 2-0 e in superiorità numerica: sembrava una passeggiata...
«E invece diventò tutto complicato. Mai pensare che squadre come Inter o Milan, a San Siro alzino bandiera bianca. Nel finale ci fu l’espulsione di Radu che riportò le due squadre in equilibrio e a cinque minuti dalla fine, arrivò il gol dei nerazzurri».

 

Cosa accadde nel finale?
«Che l’Inter si gettò tutta all’attacco e noi fummo costretti a difenderci. Fu una bella lotta. Ma fu una di quelle gare che ti restano dentro. La classica vittoria che ti esalta. Vincere a San Siro, in uno stadio così, davanti a tante persone e contro un Inter che era molto forte, non è mai banale».

 

Quel successo vi permise di guadagnare l’accesso in semifinale e di affrontare la Roma...
«Io volevo fortemente quel doppio derby. In quella battaglia di San Siro, c’era anche la voglia di regalarsi quel doppio derby. Nella rosa della Lazio c’erano diversi giocatori che avevano vinto la Coppa Italia del 26 maggio, battendo la Roma. È chiaro che per loro l’attesa e la sensazione di affrontare i giallorossi in semifinale era diversa. Per me invece fu uno stimolo incredibile. Volevo fare bene. Giocai la semifinale di andata, che vincemmo 2-0, poi saltai il ritorno per squalifica».

 

La Lazio raggiunse la finale con la Juve: Marco Parolo, reduce da un infortunio, prova a recuperare in tempo...
«Ma dopo venti minuti sono stato costretto ad uscire. Il finale di quella stagione fu molto amaro per me: mi feci male contro la Sampdoria e non sono riuscito a recuperare. Sapevo di non stare bene, ma una finale è una finale: nessuno vuole rinunciarci. Ho provato a stringere i denti, ma fu tutto inutile. Quella gara poi fu senza storia: la Juve era fortissima e sul campo meritò il successo. Ma ci prendemmo la rivincita qualche mese dopo in Supercoppa: e io mi tolsi la soddisfazione di fare un assist a Ciro Immobile».

 

Parolo, per quale ragione la Lazio è riuscita spesso a togliersi delle soddisfazioni a Milano contro Inter e Milan in Coppa Italia, mentre in campionato non siete riusciti a ripetervi?
«Difficile dirlo, forse per una serie di motivi, legati anche alle motivazioni. Una cosa però posso dirtela: la partita secca, da dentro o fuori, ci ha sempre regalato delle emozioni particolari: una sorta di adrenalina che ci ha sempre spinto a fare meglio nelle coppe, che in campionato».

 

Si è sempre detto che, rispetto agli altri tecnici, Simone Inzaghi tenesse particolarmente alle gare di Coppa. È così?
«Lui sapeva perfettamente che portare un titolo gli avrebbe permesso di rimanere nella storia e guadagnare considerazione. Ha sempre avuto una grande voglia di fare bene, soprattutto in Coppa Italia. Affrontava le gare di questa competizione con uno spirito particolare: voleva che la Lazio facesse bene. Se leggete oggi i tabellini delle gare di Coppa, vi accorgerete che lui schierava sempre i titolari. Voleva andare avanti, non lasciare nulla al caso. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. A Milano contro l’Inter non fu l’unico successo».

 

Si riferisce al match vinto ai rigori nel 2019?
«Anche in quel caso furono i quarti di finale. E andai a battere anche io uno dei penalty. Ero sicuro che Handanovic, che era un para rigori, avesse studiato le caratteristiche di tutti i possibili rigoristi. Io fino a quel momento ne avevo calciati solo due: uno centrale e uno chiudendo il tiro. Per sorprendere Handanovic, decisi di aprirlo, e andò bene».

 

Molti pensano che la vostra Lazio potesse vincere più di quello che ha portato a casa. È d’accordo?
«Io ho un doppio rammarico: secondo me negli anni alla Lazio potevamo fare molta più strada in Europa League. Ci sono state delle stagioni in cui eravamo in grado di arrivare fino in fondo. Ma solo in un anno abbiamo davvero fatto bene: nel 2018, quando poi ci fu la trasferta di Salisburgo, in cui ancora oggi non ti so spiegare cosa sia successo in quei dieci minuti che hanno rovinato tutto».

 

L’altro rammarico?
«Nello spareggio Champions con l’Inter: meritavamo di raggiungere la Champions League quell’anno. Poi ci siamo riusciti più avanti e siamo arrivati fino agli ottavi di finale, ma quel finale di stagione e quella gara, sempre con i nerazzurri, poteva e doveva andare meglio».

 

L’Inzaghi di oggi, che guida l’Inter, quanto è diverso da quello che sedeva sulla panchina della Lazio?
«Tanto: ha capito cosa vuol dire allenare l’Inter. Alla Lazio un pareggio o una sconfitta, non portavano la critica a scagliarsi su di lui. Ora ha capito come gestire questo tipo di pressione e come comportarsi. Ma c’è voluto un po’ di tempo. È un Inzaghi che è cresciuto, anno dopo anno. Già il Simone Inzaghi degli ultimi anni a Roma era diverso da quello che si era seduto per la prima volta sulla panchina della Lazio. Oggi ha completato il processo di evoluzione, ma c’è una cosa che è rimasta identica al passato...».

 

Quale?
«La voglia di puntare sulla Coppa Italia e di andare fino in fondo a tutti i trofei che si gioca. E questo la Lazio deve saperlo bene».

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