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La Jugoslavia è stata terra di talenti sopraffini: tra Stella Rossa, Marsiglia e Verona in campo la luce di Dragan ha brillato con il doppio della luminosità, ma durò pochi anni
Il giorno più brutto nella carriera da calciatore di Dragan “Piksi” Stojkovic è quello in cui è stato costretto a dire ai propri compagni, da capitano, che non avrebbero potuto partecipare all'Europeo del 1992. Nonostante il Paese sia nel mezzo di una guerra devastante, lui sognava ancora di condividere uno spogliatoio multietnico con amici diventati rivali come i croati Boban e Boksic, ma la politica non glielo consente. A maggio la nazionale dell'ormai ex Jugoslavia è già a Stoccolma per disputare il torneo, ma per Lennart Johansson, presidente dell' Uefa: “Non rappresenta più nessuno”. Finirà lì la storia gloriosa del “Brasile d'Europa”.
Dragan è chiamato “Piksi” perché da piccolino c'era un cartone animato americano con un topolino con un papillon azzurro, Pixie, Dixie e Mr. Jinks, e i suoi amici decidono di affibbiargli quel soprannome buffo. Non se lo toglierà mai più.
L'Italia tutta si accorge di Stojkovic il 27 ottobre 1988, quando da capitano ventitreenne, con il numero dieci sulle spalle, a San Siro fa impazzire il Milan campione d'Italia. Baresi, che in più di un'azione al limite dell'area viene puntato e fatto secco con una finta, per fermarlo è costretto alle cattive. “Un giocatore che ci sa fare, indubbiamente” banalizza Pizzul in cronaca mentre lui, dopo aver tagliato il campo orizzontalmente in palleggio – coscia, destro, ancora destro senza che il pallone cada – aggira prima Rijkaard con una veronica e poi Colombo con un dribbling nello stretto. Poi alza la testa e apre il gioco per un compagno libero in fascia.
Ogni sua giocata è intrisa di classe, ma mai fine a se stessa e al secondo minuto della ripresa parte dai trenta metri, supera Maldini con il primo controllo, arriva al limite dell'area con il solito Baresi di fronte, lo sbilancia con un doppio passo, lo fa secco e infila Galli sul suo palo. Finisce 1-1 e solo la nebbia sul Marakana, nel match di ritorno, butterà fuori quella formidabile Stella Rossa dalla Coppa dei Campioni 1988-89.
Ai Mondiali italiani 1990, Dragan è ormai un campione maturo e il suo “Brasile d'Europa” vince il girone a punteggio pieno. Negli ottavi al Bentegodi di Verona c'è la Spagna di Butragueño, ma una meravigliosa doppietta di Stojkovic regala il passaggio del turno al dream team jugoslavo, che sogna la vittoria finale. Secondo lo scrittore e giornalista Gigi Riva – autore del bellissimo Ultimo rigore di Faruk che racconta quel torneo – la conquista della coppa del Mondo avrebbe potuto evitare miracolosamente la disgregazione del Paese, ma la sconfitta ai quarti contro la coriacea Argentina di Maradona mette fine a ogni speranza.
Le sirene dall’estero: Marsiglia
Se fosse per Piksi rimarrebbe a Belgrado tutta la vita, ma l'Olympique Marsiglia è troppo ricco e ambizioso per accettare un “no” come risposta e quella stessa estate il funambolo serbo si trasferisce in Francia. Galliani lo vorrebbe al Milan, e intercede con il presidente del club francese Bernard Tapie, ma quello ribatte secco: “Puoi avere tutti i giocatori del mondo, ma non Stojkovic”.
La prima parte del tormento marsigliese di Piksi, però, dura una decina di partite appena, e quando il portiere del Metz gli si attorciglia intorno alla gamba sinistra, provando a evitare un gol ma procurando il rigore del 2-0, la cartilagine del suo ginocchio si lesiona.
Stojkovic tira avanti per settimane prima di decidersi all'operazione, ma a quel punto l'articolazione è compromessa e lui non tornerà mai più lo stesso. Rientra agli sgoccioli della stagione, per giocare qualche minuto nella finale di Coppa dei Campioni, e il fato gli ha messo contro la Stella Rossa.
A Bari la partita si conclude ai rigori, ma per troppo amore Piksi decide di tirarsi indietro: “Non è possibile” risponde al suo allenatore quando gli dice di farsi avanti. Se avesse segnato avrebbe fatto un torto ai suoi ex compagni e sbagliando la Francia si sarebbe scagliata contro di lui. Decide di rinunciare, la Stella Rossa trionfa e i suoi giorni a Marsiglia per ora sono conclusi.
Nell'estate 1991 passa al Verona, che da neopromosso sogna di entrare in Europa, ma il suo ginocchio non collabora. Lo accolgono come il fenomeno che ancora si spera possa essere, ma nulla nel suo fisico funziona più a dovere e la consapevolezza che suo fratello diciannovenne Zoran è da qualche parte al fronte a combattere è continuo motivo di angoscia.
Come se non bastasse, si infortuna di nuovo in nazionale, così comincia la stagione con una gamba normale e l'altra poco più di uno stecchino. Il mister Fascetti crede nel suo recupero, ma Piksi gioca solo una partita degna del suo incredibile talento: un Verona-Inter 1-0 del 9 febbraio 1992.
Sulla panchina nerazzurra c'è Suarez, che nel Mondiale italiano era Ct delle Furie rosse, e quasi per miracolo il numero dieci scaligero non sente dolore, risultando il migliore in campo nonostante un rigore calciato altissimo a fine gara, tra tacchi, finte e aperture magiche.
Il Verona, purtroppo, retrocede in B e lo scarica. Nonostante abbia appena ventisette anni e solo tre anni prima lo ritenessero tra i numeri dieci più talentuosi al mondo, nessuno vuole accollarsi i tre miliardi del suo ingaggio. Non in quelle condizioni fisiche.
Rientra suo malgrado a Marsiglia ma è solo la copia sbiadita del calciatore che era, così decide di riprendersi in mano la carriera in un calcio che ne assecondi i ritmi di gioco lenti ed emotivi da ballata folk balcanica. Nell'agosto 1994 si trasferisce in Giappone ai Nagoya Grampus e senza pressioni né tackle troppo rudi, risorge alle antiche glorie. Si ritira da eroe a trentasei anni, con la convinzione diffusa tra i giapponesi che da quelle parti non si vedrà mai più nulla di simile.
Fa in tempo anche a rientrare negli svariati tentativi di ricreare la nazionale della Jugoslavia, con solo parte delle nazioni che la componevano un tempo. Disputa da capitano il Mondiale del 1998, dove trova il gol in un 2-2 con la Germania, e l'Europeo 2000.
Oggi è Ct della Serbia, squadra irrisolta per eccellenza, e nel talento sfacciato quanto velleitario di tanti dei suoi giocatori in molti rivedono la carriera di Piksi. Quello che, con un po' di fortuna in più, sarebbe potuto essere il più forte di tutti.
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