Amedeo Carboni, l’Harley Davidson della fascia sinistra

Amedeo Carboni, l’Harley Davidson della fascia sinistra

Apprezzato da Sacchi, che lo portò in Nazionale, amava spingere l’azione partendo dal basso. Sampdoria, Roma e Valencia le tappe salienti della sua lunga carriera

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Nonostante il 6 aprile siano sessanta le primavere che ha attraversato, Amedeo Carboni ha ancora la faccia di quei ragazzini vispi che sprizzano intelligenza dagli occhi, ormai incorniciati nelle rughe dell’esperienza. Rughe che non cancellano la curiosità di un uomo che, dopo aver messo in soffitta gli scarpini, ha seguito percorsi originali che l’hanno tenuto legato al mondo del calcio in maniera non convenzionale. Oggi, infatti, Carboni, tra le varie attività che segue, si occupa anche di ristrutturazione degli stadi attraverso un’azienda di Valencia, città nella quale chiuse la carriera nel 2006.

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli inizi ad Arezzo

 

Una carriera cominciata ad Arezzo, sua città natale: con la maglia amaranto segue la trafila delle giovanili prima di approdare alla primavera della Fiorentina, segnalato da Arrigo Sacchi. Una figura importante per il suo futuro in Nazionale, nella quale Amedeo esordirà negli anni Novanta proprio quando il tecnico di Fusignano siederà sulla panchina azzurra. Del resto, un profilo come quello di Carboni non può non interessare un allenatore come Sacchi: terzino di spinta tutto mancino, incline alla costruzione della manovra, tatticamente propenso a seguire una linea difensiva alta. Caratteristiche che, unite a una velocità di base innata e a una discreta tecnica individuale, ne fanno un giocatore di quelli adatti al gioco predicato dall’allenatore che conquisterà le grazie di Berlusconi. Il calcio dei grandi, Carboni lo inizia ad assaporare nel 1984-85, quando rientra ad Arezzo e disputa una stagione in serie B, prologo al lancio sul grande palcoscenico della massima divisione, calcato la prima volta con la maglia del Bari e poi, nel 1986-87, con l’Empoli. Ma sono solo scampoli di presenze, partite che, per intero, vengono disputate poche volte. Nell’estate del 1987 Amedeo ha ventidue anni: è ancora giovane ma capisce che, per mostrare le sue qualità e crescere, ha bisogno di giocare. Così accetta l’interesse del Parma e torna tra i cadetti. Si tratta di una squadra di ottimo potenziale, con nomi che, nell’immediato futuro, riempiranno le pagine dei giornali: Cervone (che ritroverà alla Roma qualche anno più tardi), Apolloni, Minotti, Osio, Melli, Baiano. Nonostante questo, per i Ducali la stagione non è esaltante ma Carboni riesce comunque a trovare continuità di impiego e buon rendimento, tanto che le big della serie A se lo contendono: dall’Inter del presidente Pellegrini, che sta costruendo la squadra che vincerà lo scudetto dei record, al Napoli di Maradona, nel quale il terzino toscano non va a finire per via di un incontro saltato con Luciano Moggi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dalla Samp alla Roma

 

Alla fine è Paolo Mantovani a portarlo alla corte dove Mancini e Vialli sono icone. Con loro il rapporto si sviluppa su binari diversi: ottimo con Gianluca, più conflittuale con Roberto. Così conflittuale da spingere Amedeo a lasciare la Sampdoria proprio nell’annata in cui il club vincerà il campionato. Un pezzo di gloria blucerchiata, ad ogni modo, se lo riesce a ritagliare, conquistando una Coppa Italia e la Coppa delle Coppe del 1990, anno in cui si apre un nuovo, lungo capitolo del suo percorso professionale: quello che scriverà insieme alla Roma. Nella Capitale giunge grazie all’ultima campagna acquisti portata avanti da Dino Viola.

La società è ambiziosa ma la morte del presidente del secondo scudetto giallorosso frena i piani di competitività ad alto livello della squadra, che comunque, nel primo anno con Carboni, vince la Coppa Italia e arriva in finale di Coppa Uefa. Sono i risultati migliori di tutta l’esperienza romana che, tra alti e bassi, va avanti fino al 1997. Sette stagioni nelle quali Carboni diventa un punto di riferimento, come testimonia la fascia di capitano che eredita da Giannini dopo l’addio del Principe ai giallorossi. In quegli anni il ragazzo di Arezzo si fa uomo e scopre l’emozione della maglia azzurra: nel 1992 Sacchi gli concede la prima convocazione e nel 1996 lo porta in Inghilterra agli Europei. L’addio alla Roma si consuma l’anno dopo, in seguito a una lite con il presidente Sensi.

 

 

 

 

 

 

 

L’approdo a Valencia

 

Amedeo ha trentadue anni: i quadricipiti sono ormai gonfi di chilometri percorsi sulla fascia, allenamenti, contrasti, cross dalla tre quarti campo e dal fondo. All’Olimpico gli applausi hanno lasciato sempre più spesso spazio ai fischi, magari dopo un traversone impreciso o un tiro andato fuori misura. L’approdo a Valencia è l’ultimo di una carriera che sta ripiegando sul finale: nessuno può pensare che durerà nove stagioni. Soprattutto, nessuno immagina che saranno così ricche di trofei da cambiare radicalmente il palmares personale di Carboni, che in Spagna vincerà due campionati (2002 e 2004) e Coppe a volontà (due nazionali e due europee, tra cui la Uefa del 2004). Del resto, che lui di correre non si fosse ancora stancato lo testimoniò la clausola che il Valencia accettò di inserire nel suo contratto: quella di poter usare l’Harley Davidson, probabilmente un privilegio unico tra i calciatori spagnoli. Il rammarico di quel periodo è legato alla Champions League per via di due finali consecutive perse: nel 2000 contro il Real Madrid e l’anno successivo ai calci di rigore (uno sbagliato proprio da lui) contro il Bayern Monaco. "Fui il quarto rigorista del Valencia. Ero tranquillo e sicurissimo di segnare. Tirai forte e centrale, Kahn si tuffò ma con la destra deviò il pallone sulla traversa. È un dolore, ma quei nove anni sono stati talmente pieni di gioie che alla fine i ricordi belli sovrastano quelli dolorosi”. In Spagna, Carboni si impose non solo come ottimo calciatore ma anche come uomo intelligente. Tanto che, al termine dell’esperienza di campo, l’offerta del club di diventarne direttore sportivo allontanò la tentazione di racimolare gli ultimi spiccioli di carriera nella MLS. Era arrivato il momento di svuotare per sempre l’armadietto, senza drammi o eccessivi rimpianti, e cominciare ad applicare mente e impegno verso nuove direzioni.

 

 

 

 

 

 

 

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