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“Nomen est omen”, dicevano gli antichi. “Nel nome c’è il destino”. Non però se ti chiami Andrea Fortunato, se sei stato uno dei giocatori più promettenti della tua generazione e una leucemia ti ha strappato la vita e i sogni a soli 23 anni, il 25 aprile del 1995. Una stella spenta veramente troppo, troppo presto. Sono passati ormai diversi anni dalla scomparsa di Andrea, ma il dolore è ancora pungente ogni volta che riaffiora il ricordo di quel giovane così umile, un uomo pieno di luce e di vita. Ma vittima di un destino spietato.
Andrea nasce a Salerno il 26 luglio 1971. È proprio nella sua terra che inizia a tirare i primi calci al pallone, precisamente nella Giovane Salerno, squadra dilettantistica della città. A soli 13 anni, le sue qualità palla al piede di certo non passano inosservate, tanto che Andrea viene convocato per alcuni provini con squadre come Torino, Napoli, Cesena, Empoli e Como. Sono proprio i comaschi ad ingaggiarlo subito, con un obiettivo ben preciso: rendere Fortunato un grande centravanti. Il calciatore, con le valigie in mano, pronto a lasciare la sua terra, fa una promessa alla madre e al padre: “Prenderò il diploma di ragioneria, costi quel che costi”. L’avventura comasca inizia dagli allievi. Lì l’intuizione di mister Brustignoli, che trasforma Andrea in un terzino fluidificante di sinistra sfruttando la sua facilità di corsa e il suo educato piede mancino. Dopo tutta la trafila nel settore giovanile, l’esordio in serie B a 18 anni a partita in corso in un Pescara-Como. Nella serie cadetta colleziona 16 presenze. Ma la più grande soddisfazione di quegli anni arriva fuori dal rettangolo di gioco. Andrea mantiene la promessa fatta ai suoi genitori prima di lasciare Salerno, la sua città. Supera infatti l’esame di maturità e diventa ragioniere: un vero atto d’amore nei confronti della sua famiglia e di sé stesso, un modo di dimostrare di aver portato sempre con sé l’amore e i valori di casa anche a centinaia di chilometri di distanza. Il Como dalla serie B scende intanto in C1, ma Andrea con le sue sgroppate e i suoi deliziosi cross – il più delle volte trasformati in preziosi assist – diventa una colonna della squadra. Viene notato dalla Nazionale under 21 e da tante squadre di serie A.
A 20 anni, nel 1991, Fortunato viene acquistato per 4 miliardi di lire dal Genoa, allenato all’epoca da Osvaldo Bagnoli. A sinistra, nei rossoblù, gioca però il brasiliano Branco, un punto fermo e intoccabile. Il giovane di Salerno non trova minutaggio e non colleziona presenze in questa prima esperienza nel massimo campionato. A seguito di un litigio con Maddè, braccio destro di Bagnoli, Fortunato viene mandato in prestito al Pisa retrocesso in B. Con la maglia nerazzurra gioca tutto il campionato da titolare, sfornando prestazioni in crescita di giornata in giornata. Impiega veramente poco per diventare un idolo per la piazza toscana. Nella città toscana Andrea conosce la sua campagna Lara. “Da quando c’è lei che ha reso tutto più facile, ho imparato a vivere il quotidiano con equilibrio”. Terminato il prestito al Pisa, nel 1992 Andrea torna a Genova, sempre sponda rossoblù. Qui incontra un nuovo allenatore, Bruno Giorgi. Tra i due c’è subito sintonia, e sulla fascia sinistra cambiano le gerarchie: il titolare non è più Branco, ma il salernitano: 33 presenze e 3 reti con il Grifone, un’altra piazza conquistata e una striscia di prestazioni che stuzzicano l’appetito delle “big”. Intanto, due delle 3 reti totali realizzate dal calciatore in maglia rossoblù, vengono siglate alla penultima e all’ultima giornata permettendo così al Genoa di agguantare la salvezza. Questa è il ricordo indelebile che lascia a Genova, perché ad un anno dal suo ritorno in serie A, per il terzino si corona il sogno di una vita, quello per cui valgono la pena tutti i sacrifici, gli sforzi, il sudore, lo stare lontano dalla propria terra e dalla propria famiglia fin da bambino: vestire la maglia della Juventus, la sua squadra del cuore.
Viene acquistato dalla Vecchia Signora per un motivo ben preciso: sostituire il totem Antonio Cabrini, campione del mondo con gli azzurri nell’82. E dopo la Juve, Andrea trova anche la Nazionale con il debutto a Tallinn, nel ‘92, in occasione del 3-0 all’Estonia. Per Andrea, sarà purtroppo la prima e unica apparizione nella Nazionale maggiore. A Torino, gli tocca un avvio complesso dettato dalla necessità di integrarsi in una realtà di alto livello. Passato questo periodo di adattamento, Andrea si prende la fascia sinistra e ne diventa il titolare inamovibile. Saranno 27 le presenze in due annate, condite da una rete. Quella che appare una corsa a vele spiegate verso la gloria per il classe 1971, ha un brusco rallentamento nella primavera del ’94. Il suo rendimento cala nettamente, e l’opinione pubblica sentenzia immediatamente: “Fortunato? Ha perso l’umiltà di un tempo. Questo l’effetto che fanno le grandi squadre”. Il primo ad accorgersi di questo calo è proprio Andrea. A non dargli tregua è una febbretta persistente che lo colpisce ormai quotidianamente. Settimana dopo settimana il suo rendimento continua a calare, e oltre alla febbre si aggiunge anche un perenne stato di spossatezza e stanchezza. Andrea si decide di fare degli accertamenti approfonditi, e la terribile sentenza arriva il 20 maggio 1994: Andrea non soffre di superbia acuta, come pensava il popolo del pallone, ma di leucemia mieloide acuta. Viene ricoverato all’Ospedale Molinette di Torino in isolamento presso la divisione universitaria di ematologia. I medici sono fiduciosi, il giocatore del resto è forte e conduce una vita sana e priva di vizi. Può sicuramente farcela, pensano. “Voglio farcela, devo vincere questa battaglia”, dichiara più volte Andrea. È però necessario un trapianto di midollo e bisogna trovare un donatore compatibile. Una ricerca che non porta i frutti sperati: donatori ce ne sarebbero solo 3 ma tutti troppo lontani.
Il 9 luglio 1994 Andrea viene trasferito al centro trapianti di Perugia. Il giorno del suo compleanno, il 26 luglio, gli vengono trapiantate cellule sane che appartengono alla sorella. Fortunato passa il suo tempo in ospedale con la famiglia e la sua compagna Lara, guarda la televisione, si telefona con tutti i compagni di squadra (Vialli, Ravanelli, Baggio su tutti) che non lo hanno lasciato solo neppure un secondo. Ad agosto, il primo crollo. Il suo corpo rigetta le cellule di sua sorella Paola e il ragazzo ripiomba nel dramma. I medici non demordono, ci riprovano con un altro trapianto cellulare, questa volta con le cellule prelevate da papà Giuseppe. La nuova infusione cellulare sembra funzionare, il fisico reagisce bene. Andrea lascia la terapia intensiva e inizia una riabilitazione in palestra. “Penna Bianca” Ravanelli cede ad Andrea la sua casa di Perugia, è disposto a tutto purché il compagno si senta il più coccolato possibile. La strada verso la guarigione sembra ormai tracciata. Tutto lascia pensare a una evoluzione positiva. La malattia sembra messa all’angolo in attesa di un decisivo colpo del ko. In autunno Andrea ricomincia gli allenamenti sul campo, ospite del Perugia, e il 26 febbraio del 1995 si ricongiunge con i compagni della Juventus. Andrea è felice come un bambino, è sicuro di aver sconfitto il terribile male ed è pronto a rinascere una seconda volta e a godersi di nuovo il bellissimo viaggio della vita, con la consapevolezza che la felicità va ricercata nelle piccole cose.
Ad aprile, ad un passo dal ritorno effettivo in campo, Andrea viene colpito da una polmonite. L’infezione gli indebolisce drasticamente il sistema immunitario e la malattia spegnerà definitivamente la vita del ragazzo il 25 aprile del 1995. Quel giorno, l’Italia è impegnata in Lituania. Ravanelli e tutta la squadra sono straziati dal dolore. Increduli, con la morte del cuore. Gli azzurri giocano e vincono 1-0 con rete di Zola. È chiaro a tutti a chi sia dedicata questa vittoria. I funerali si tengono nella Cattedrale di Salerno. Più di 5000 i presenti, tra questi numerose società calcistiche e personalità del calcio italiano. Ironia della sorte, a tenere il discorso di addio a nome della Juventus ci pensa il capitano, Gianluca Vialli, anche lui portato via troppo presto, ventotto anni dopo, da un male implacabile. Il discorso di Vialli fu più volte rotto dal pianto e si concluse con queste parole: “…Onore a te, fratello Fortunato”. Questa la tragica storia di un ragazzo pieno di sogni, volato da questo mondo ancora troppo giovane. Non ha avuto tempo di mostrare fino in fondo le sue qualità in campo, ma ha affrontato la malattia nello stesso modo in cui sgroppava su quella fascia sinistra: con feroce determinazione senza mai abbattersi nemmeno un attimo. Ci ha creduto Andrea, ci avevano creduto tutti nel suo ritorno e nella sua guarigione. Così purtroppo non è stato, perché l’amara verità con cui dobbiamo fare i conti è che sebbene il cognome dicesse “Fortunato”, il destino si è messo crudelmente di traverso.
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