Muhammad Ali, nato due volte

Muhammad Ali, nato due volte

80 anni dalla nascita del pugile che ha cambiato la storia, il suo lascito va ben oltre le irripetibili meraviglie mostate sul ring

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Che atleta è stato e che posto occupa nella storia della boxe e del suo salone più esclusivo, ossia la categoria dei Pesi Massimi? Partiamo da un paradosso: non è stato forse il migliore in assoluto, perché quello era Joe Louis; non il più cattivo, perché quello era Sonny Liston; nemmeno il più irriducibile, non come “Smokin Joe” Frazier; non il più forte come Foreman e neanche il più terrificante, come Mike Tyson. Ma fu unico in una specialità: trascinare l’avversario sul terreno che lui sceglieva per decidere l’esito della lotta, irretendolo nelle maglie del suo prodigio atletico, imprendibile nella sua danza in mezzo ai dinosauri. Ecco perché è stato il più grande.

Non è certo questa, per quanto grandiosa, l’opera più straordinaria che abbia compiuto: basti pensare che i rappresentanti di una certa America “WASP” (White Anglo - Saxon Protestant) hanno fatto sempre il tifo per il suo grande avversario di turno; nero come lui ma che ai loro occhi diventava bianco nel tentativo di sconfiggere quel nuovo, temibile, autodeterminato prototipo di afroamericano. Ed è il motivo per il quale anche a lui quei suoi avversari apparivano così “pallidi”: erano grandi campioni ma asserviti a un sistema in cui il nero, sia pur di successo, era pur sempre una sorta di pittoresco pesce in un acquario, al quale il bianco generoso distribuiva il mangime della gloria, della rispettabilità borghese, della ricchezza. Proprio come allo Zio Tom. E così prese a chiamarli in questo modo, i suoi sfidanti neri: - Sei uno Zio Tom! - ossia il nero mansueto e affidabile, che ringrazierà per sempre il buon padrone bianco. Una delle cose che più lo faceva imbestialire era la definizione “nero di successo”, perché di quelli ce n’erano già tanti e sempre di più ce ne sarebbero stati, dagli anni cinquanta in poi: nello sport, nella musica, nel cinema. Ma sempre all’interno di una “cornice” spessa e finemente decorata dai rapporti di forza della storia: l’establishment del potere detenuto dai bianchi, che a tanti “fratelli” neri decideva di distribuire il mangime del consenso, dell’accettazione. Lui è stato un’altra cosa, consapevole di stare indicando una nuova strada: il primo nero a interpretare a modo proprio la maniera di vivere il proprio successo, di celebrare la propria gloria e di spenderla per le finalità che gli stavano a cuore. Già soltanto per questo, nel momento in cui costruiva la propria storia personale, non solo pugilistica, il suo vissuto intersecava la Storia con la maiuscola: nelle sue istanze di autodeterminazione c’era già il cambiamento di un’epoca. Proprio per questo, mosse una sconfinata adorazione nei suoi confronti e un odio forse ancora più intenso: la cosa più “grave” che fece, agli occhi dell’America bianca, perbenista e anglicana, non fu rifiutare l’arruolamento per il Vietnam, nemmeno l’adesione alla discussa setta dei Musulmani Neri di Elijah Muhammad; fu che si permise di essere come voleva essere. Come se fosse un bianco o, per meglio dire, come se si fosse dimenticato di essere nero. Con la sfrontatezza e l’autostima di chi è in grado di convincersi d’essere bello e invincibile ancora prima di averlo dimostrato. È per questa ragione che si specializzò nell’arte dell’insulto preventivo: il “trash talking”, col quale cominciava a demolire il rivale prima ancora di trovarselo di fronte sul quadrato. Sarebbe diventata un’arte per davvero, anche in politica. Così come certe sue filastrocche rimate, inventate sul momento, sembra abbiano fatto germogliare la musica rap. E seppe poi rinascere, dopo la lunga squalifica, sviluppando la tattica del programmato sfiancamento altrui: “Rope a dope”, prendi al laccio l’imbecille. Chiedete a George Foreman, quanto ci mise a razionalizzare la sua notte africana da stra-favorito mondiale. O a Frazier, che a Manila disse: - Gli ho dato pugni sufficienti a buttare giù un palazzo -.

È stato l’unico uomo sulla terra a essere celebre con due nomi diversi, essendo diventato Campione del mondo la prima volta come Cassius Clay. Forse anche per questo, quando il mondo ha dovuto salutarlo, ha continuato a battere per mezz’ora dopo la morte di ogni altro organo, il cuore di Muhammad Ali, troppo grande per un solo dio.

Podcast: Muhammad Ali, troppo grande per un solo Dio

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Un pugile, una leggenda, il cui impatto sociale non ha avuto precedenti nel mondo dello sport: anche nei momenti più difficili, l'uomo non ha mai smesso di lottare

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