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Il compleanno del club più titolato al mondo, da cui sono passati tutti i più grandi (anche italiani)
Non esiste squadra al mondo che sia simbolo dell'invincibilità e della conservazione come il Real Madrid, che oggi compie 120 anni. Un monumento, un monolite, un pezzo fondamentale del calcio, nonché "club più titolato al mondo" con 27 trofei internazionali vinti, dopo aver sorpassato in tromba Boca Juniors e Milan a quota 18 e l'Al Ahly (24). Merito anche di 13 Coppe Campioni/Champions League, naturalmente, che hanno creato il mito di una squadra che quando arriva in fondo non perde mai, o quasi. E lo fa grazie a giocatori passati alla storia, perché praticamente tutti i grandi hanno transitato da Chamartìn o dal Santiago Bernabeu, lo stadio che è parte integrante di questo mito.
Nata come Madrid Club de Fùtbol nel 1902, la società è diventata Real per intercessione del sovrano spagnolo Alfonso XIII nel 1920. Il colore in compenso non è mai cambiato, è sempre rimasto il bianco, anzi il blanco o merengue, due dei soprannomi della squadra. In 120 anni, oltre a non essere mai retrocesso in seconda divisione tanto quanto Barcellona e Athletic Bilbao, non ha mai avuto un vero momento di crisi o appannamento: in compenso sono arrivati 34 campionati, 19 Coppe del Re e 12 Supercoppe di Spagna, più naturalmente le 13 Coppe dei Campioni/Champions League, 7 Coppe Intercontinentali/Mondiali per club, 4 Supercoppe Europee e 2 Coppe Uefa. Insomma, una corazzata a livello internazionale, che ha cominciato ad acquisire uno status ancora più grande in contemporanea con la nascita della prima vera grande competizione continentale, la Coppa dei Campioni, di fatto inventata da Santiago Bernabeu, all'epoca, nel 1955 presidente del Real Madrid. Comincia lì la leggenda, fatta di cinque titoli consecutivi con nomi come Di Stefano, e poi Kopa, Puskas, Rial e Gento. Anche se arrivano già in là con gli anni, un po' attempati come Puskas, fanno ancora in tempo a predicare calcio, segnando raffiche di gol. Intorno a Di Stefano, che del Real diventerà anche allenatore e presidente onorario fino alla morte, nasce il mito. L'uomo che però ha fatto maggiormente da trait d'union tra l'era delle prime Coppe Campioni e quella successiva, dove in Europa il Real avrebbe vinto meno, è stato Francisco “Paco” Gento, un esterno sinistro formidabile morto di recente. Gento è il calciatore che ha conquistato più volte il maggior trofeo continentale: sei.
Il Real Madrid è la squadra vincente per antonomasia, non c'è dubbio. Eppure anche quando è rimasta a secco non ha mai perso un briciolo della sua importanza. Dal 1966 al 1998, per dire, i Blancos non hanno conquistato la Coppa Campioni, diventata nel frattempo Champions League. La svolta negli anni Ottanta si chiamerà “Quinta del Buitre”, da Emilio Butragueño, attaccante nato e cresciuto nel centro di Madrid soprannominato appunto “Buitre”, “Avvoltoio”. Butragueño per 12 anni sarà l'attaccante titolare dei Blancos assieme ai vari Santillana o Hugo Sanchez, il messicano che esultava con una capriola: insieme a lui, la “quinta”, la leva, perché erano tutti suoi coetanei Pardeza, Sanchís, Míchel e il futuro torinista Martín Vázquez. Ci sarebbe voluto un altro madrileno per diventare il simbolo della generazione successiva: Raul Gonzalez Blanco ha diviso critica e tifosi, mentre nel frattempo accumulava record di precocità e di gol segnati, oltre che il maggior numero di presenze nella storia del club (741). Tre volte Raul ha conquistato la Champions in quattro anni, dal 1998 al 2002, segnando due gol nelle finali, al Valencia e al Bayer Leverkusen, nella partita della sensazionale rete di Zidane. Già, Zidane, il nome più decisivo nella storia recente del club. Per lui trionfi da calciatore e da allenatore dei Blancos, con il record assoluto, una volta seduto in panchina, di tre successi consecutivi in Champions League, dal 2016 al 2018. Tuttavia quel gol al Bayer Leverkusen, nella finale del 2002, quel sinistro al volo all'incrocio dei pali su cross a campanile di Roberto Carlos, è stato uno dei più belli (nonché decisivi) di tutta la Champions, roba davvero da antologia del pallone. Sempre Zidane, ma da calciatore, è stato il simbolo di un altro ciclo, non molto vincente a dire il vero, del Real Madrid recente: quello dei “Galacticos”. Un'idea concretizzatasi con Florentino Perez, l'altro grande presidente del club assieme a Santiago Bernabeu, che all'inizio del nuovo millennio ha pensato di poter mettere assieme, senza pensare troppo alla tattica e agli equilibri, alcuni dei migliori giocatori del mondo. Così a centrocampo assieme c'erano Zidane, d'accordo, e poi Beckham e Figo, più Raul, sempre lui davanti, e l'inglese Owen o il brasiliano Ronaldo strappato all'Inter; sì, ma chi correva per loro? Nessuno. E per compensare i costi stratosferici di queste stelle bisognava arrangiarsi con i ragazzi della primavera: i cosiddetti “Pavones”, dal nome di Francisco Pavòn, preso a simbolo di questi giocatori inesperti e piuttosto scarsi, a dire il vero.
In questa carrellata di giocatori fenomenali, alcuni dei quali trascinatori e vincenti, come Cristiano Ronaldo che in nove stagioni ha segnato la bellezza di 450 gol vincendo 4 volte la Champions, anche l'Italia ha avuto il suo spicchio di gloria. Sì, perché il Real Madrid chissà come sarebbe andato senza l'apporto di alcuni nostri connazionali. Due nomi su tutti, quelli degli allenatori: Fabio Capello e Carlo Ancelotti. Il tecnico friulano in due momenti diversi si è seduto sulla panchina delle Merengues, vincendo la Liga nel 1997 e nel 2007. Sotto i suoi ordini avrà il capitano della Nazionale italiana freschissima trionfatrice al Mondiale: Fabio Cannavaro. Nel cuore dei tifosi del Real, comunque, un posticino speciale ce l'avrà sempre Carlo Ancelotti, e per un motivo molto semplice: ha vinto la decima Coppa Campioni, nel 2014. Carletto ci è poi tornato la scorsa estate a Madrid, ma qualsiasi risultato otterrà nessuno gli potrà mai contestare nulla. Il primo italiano ad aver giocato nel Real, tuttavia, è stato Christian Panucci nel 1997. Una presenza di spessore e personalità, del tutto diversa da quella, dieci anni dopo, di Antonio Cassano. Il barese segna all'esordio, ma diventa ben presto “El Gordito”, “Il grassottello”, per la tendenza a prendere peso e ad essere fuori forma. Finirà cacciato dopo essere stato beccato a imitare Capello prima di una partita. Anche questo è stato il Real Madrid, un pezzo importantissimo nella storia del calcio mondiale.
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