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Il ritratto dell'allenatore olandese che compie oggi 80 anni
Mezzo secolo ad allenare in giro per il mondo, una faccia che più riconoscibile non si può: Leo Beenhakker. Gli è mancato un grande acuto internazionale, ma ovunque sia stato ha lasciato il segno. Anche nei posti più disparati.
Teoricamente il pallone Leo non l'avrebbe mai dovuto toccare, o quantomeno avvicinarvisi. Nato a Rotterdam il 2 agosto del 1942, Beenhakker perde suo padre molto giovane. Deve portare i soldi a casa in ogni modo e si arrangia come elettricista: nel frattempo come hobby comincia ad appassionarsi al calcio, è una discreta ala destra, fino a quando un brutto infortunio di fatto lo mette fuori gioco a nemmeno vent'anni. Non importa, perché lui si è innamorato di quel gioco e comincia a studiarlo. Nel 1968 è il più giovane allenatore ad ottenere la licenza per poter esercitare nella massima categoria olandese. Comincia con il Veendam, il Cambuur e il Go Ahead Eagles, squadre di medio-basso livello, ma è lì che si costruisce un nome. Come maestro, come fonte d'ispirazione, ha un gigante del calcio olandese: Rinus Michels, l'ideatore del calcio totale. Lo stesso Beenhakker tenta di replicarlo con discreto successo. Lo chiamano sia al Feyenoord che all'Ajax per le loro squadre giovanili, Leo è portato per far crescere i ragazzini, del resto lui ha cominciato proprio in giovanissima età ad allenare. Nel 1979, finalmente, i Lancieri lo chiamano al comando degli "adulti" ed è subito scudetto. Il fatto è che per i Paesi Bassi è un periodo molto difficile: la generazione dorata delle due finali mondiali non c'è più e bisogna ripartire quasi da capo. In patria per Beenhakker lo spazio si restringe, gli capita anche un episodio curioso nella sua seconda stagione all'Ajax, quando durante una partita contro il Twente dalle tribune qualcuno si mette a fare il suo lavoro, con i Lancieri sotto di due gol: è Johan Crujiff, teoricamente tesserato per gli americani dei Washington Diplomats e spettatore interessato. Dagli spalti scende addirittura in panchina e inizia a dare indicazioni alla squadra: è un trionfo per Cruijff, ma forse Beenhakker capisce che è di troppo. Infatti a fine stagione con l'Ajax secondo in classifica decide di andarsene e sceglie a sorpresa la Liga e il Saragozza. Nel frattempo "Il profeta del gol" prenderà il suo posto.
Tre anni, a Saragozza; squadra della piccola borghesia, senza molte pretese né pressioni. Il luogo ideale per affermarsi, per seminare di nuovo. Si dice che avesse licenziato l'interprete dopo pochi mesi per comunicare direttamente lui con i giocatori attraverso dei disegnini. Evidentemente si fa capire, visto che trova nel paraguaiano Amarilla e nell'argentino Valdano una micidiale coppia di attaccanti, ma si ferma sempre a un passo dalla qualificazione per le coppe europee. Si prende allora una sorta di anno sabbatico come direttore tecnico del Volendam, di nuovo nei Paesi Bassi, prima della chiamata che gli cambierà la vita: è il Real Madrid, che per tre stagioni consecutive porta alla vittoria della Liga. In Coppa Campioni invece non andrà mai al di là delle semifinali, finendo triturato nel 1989 dal Milan di Sacchi, che annienta i blancos 5-0 a San Siro dopo l'1-1 dell'andata al Bernabeu. Rimane comunque, Beenhakker, l'allenatore straniero con più campionati vinti consecutivamente in Spagna: tre, appunto.
Il passo successivo, arrivato così in alto, è la panchina della Nazionale olandese, come il suo vecchio maestro Rinus Michels. L'attesa è spasmodica, per il Mondiale del 1990: gli Oranje sono campioni d'Europa in carica, proprio grazie a Michels, e hanno una nuova generazione top, con Van Basten, Gullit, Rijkaard e tutti gli altri grandi giocatori. Peccato che tra beghe di spogliatoio e quant'altro l'avventura si interrompa agli ottavi di finale, con la sconfitta 2-1 a San Siro contro la Germania Ovest e il celebre sputo di Rijkaard a Voeller. Beenhakker esce di scena pur avendo di nuovo il "paracadute" Ajax che lo accoglie. Comincerà poi un giro del mondo abbastanza assurdo, che lo porterà dalla Svizzera al Messico, dall'Arabia Saudita a Trinidad e Tobago e di nuovo a "casa", ma al Feyenoord, dove vincerà il campionato nel 1999.
Dopo quello del 1990, Leo parteciperà ad altri due Mondiali, con rappresentative esotiche, ma su cui lascerà profondamente il segno. Il primo è quello del 1994, quando porta l'Arabia Saudita agli ottavi di finale, rischiando di battere proprio l'Olanda: il gol di Al Owairan contro il Belgio, partendo da oltre il centrocampo, rimarrà nella storia, ma pure l'apporto di Beenhakker, che non parla mezza parola in arabo. Ancora più memorabile l'avventura del 2006 sulla panchina di Trinidad e Tobago, debuttante assoluta in un mondiale, e che strappa un punto in tre partite, tornando a casa comunque felice. Calcio totale in Arabia e nei Caraibi, anche lì ha seminato il buon Leo, uno dei volti più apprezzati nel calcio mondiale.
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