Ruud Gullit, un giocatore totale

Ruud Gullit, un giocatore totale

Il fuoriclasse olandese è stato un calciatore unico nel suo genere anche per la sua influenza fuori dal campo quando era all'apice della carriera

1 settembre 2022

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Partirò con un ricordo personale. Non si dovrebbe, ma il personaggio lo merita. Ci fu un periodo in cui a Milano, io sono milanese, mezza città aveva il cappellino con le treccine. Erano i milanisti, naturalmente, però la Gullit-mania era così. Quando Roberto Baggio si lascerà crescere il codino qualcuno cercherà di imitarlo, ma nulla al confronto con l'olandese e le sue treccine.

In un'era in cui il calcio estero non era così diffuso come adesso, bastò l'arrivo quasi da marziano del grande Ruud per generare un'aspettativa, adesso si chiamerebbe hype, senza eguali. Del resto di Gullit se ne parla ancora ai giorni nostri come uno dei più grandi di sempre.

Personaggio totale

Sappiamo quasi tutto dell'olandese, treccine a parte. Che ha cominciato la carriera da attaccante e che l'ha conclusa da difensore. Anzi, a voler essere proprio precisi da "player-manager", una figura quasi mitica, impolverata dal tempo, quella dell'allenatore-giocatore. Al Chelsea, quando già la sua parabola era a un passo dal concludersi.

Sappiamo che ha vinto il Pallone d'Oro nel 1987 e che aveva come idolo nientemeno che Nelson Mandela, futuro presidente del Sudafrica ma che lì per lì era ancora rinchiuso nel carcere di Robben Island ed è considerato alla stregua di un terrorista. Proprio a lui dedica quel trofeo personale, il Pallone d'Oro, il secondo olandese a conquistarlo dopo il mito-Cruijff.

Ruud ha 25 anni ed è appena arrivato in Italia, al Milan. Per lui Silvio Berlusconi ha davvero rotto il salvadanaio (13 miliardi di lire, cifra record per l'epoca), ma ne sarebbe valsa la pena, nonostante uno scivolone iniziale. Quando lo presentano in via Turati e gli mostrano la gigantografia di Gianni Rivera, Gullit serenamente dice: "E quello chi è?". Mai avuto peli sulla lingua, Gullit, a costo di essere poco politicamente corretto.

Anche perché uno così, a 360 gradi, in Italia non si era mai visto. A tempo perso l'olandese fa anche il cantante in un gruppo reggae, pubblica qualche disco coi suoi "Revelation Time", si permette delle comparsate in televisione da divo dello spettacolo. E in campo, idem: alto, aitante, grosso ma veloce, è di fatto immarcabile. Insomma, un marziano, che aveva trascinato il Psv a dominare in Olanda. Curiosamente la squadra della Philips vincerà la sua prima e unica Coppa Campioni esattamente un anno dopo aver ceduto il suo pezzo più pregiato, ma Gullit avrà tempo e modo per rifarsi.

Un 10 atipico

Gullit potrebbe essere "larger than life", insomma troppo eccessivo, anche per uno schieramento equilibrato come il 4-4-2 di Arrigo Sacchi, l'altra novità del Milan di quell'estate. Veste la maglia numero 10, ma è difficile incasellarlo come fantasista o trequartista, anche perché il "Vate di Fusignano" tendenzialmente non li usa. E allora è l'arma totale, che dovrebbe fare coppia con un altro olandese, il vero centravanti, che si chiama Marco van Basten ma che all'inizio è quasi sempre infortunato. Divide il reparto avanzato col "vecchio" Virdis, che pur essendo un maestro d'astuzia accanto a Gullit sembra quasi suo padre. Il Milan arranca, ma ci pensa Ruud a cavare spesso le castagne dal fuoco, fino alla prima enorme partita dei rossoneri in versione sacchiana, il 4-1 con cui a inizio 1988 annichilisce il Napoli a San Siro, in faccia a Maradona, nientemeno.

Quando Van Basten rientra dagli infortuni Ruud senza una piega cambia ruolo, diventando quasi un'ala. Ancora più impetuosa, ancora più imprendibile, per lasciare a MVB il centro dell'attacco. Un suo gol nel derby, una sassata in diagonale da pochi passi, è il simbolo di questa potenza inarrestabile. Arriva lo scudetto, quindi, ma non è finita. In realtà è solo l'inizio.

La cavalcata in Coppa Campioni dell'anno successivo è una grandissima prova collettiva del Milan con davanti, finalmente, i due olandesi sani e al massimo della potenza di fuoco. Nel frattempo è arrivato anche il terzo oranje, Frank Rijkaard, a creare un blocco paragonabile al leggendario Gre-No-Li. Tra semifinali e finale Gullit segna 3 gol e Van Basten 4, sette in totale sui 10 della squadra. Memorabile, tra l'altro, a proposito di pochi peli sulla lingua da parte di Ruud, la risposta a Berlusconi che chiedeva astinenza in vista della finale contro la Steaua Bucarest: “Presidente, mi dispiace ma con le palle piene non riesco a giocare”.

Comunque per il Milan è evidente il peso di questa coppia, ormai perfettamente amalgamata e che si ripeterà di lì a poche settimane all'Europeo in cui l'Olanda vince il primo e unico titolo della sua storia. Ruud è addirittura capitano, il primo giocatore di colore ad indossare la fascia.

Cambio di vita

C'è solo un modo perché frani questo idillio tra Milan e Gullit: un cambio alla guida tecnica o qualche ruggine con la presidenza. Di fatto è ciò che succede ai rossoneri, quando Sacchi va a dirigere l'Italia, e l'olandese con Capello proprio non si prende. C'è anche qualche bizza di troppo al ginocchio che complica la situazione, tanto che il Milan comincia ad accatastare giocatori proprio nella zona di campo occupata da Gullit, che si ritrova, come nel famoso gioco, senza la sedia. È l'estate del 1993 e l'oranje, che ormai non ha più i capelli lunghi come in precedenza, sceglie la Sampdoria. Va a vivere a Nervi in quello che chiama “un cambio di vita”. La vendetta è un piatto da servire freddo, tipo da ex, segnando un gol decisivo. Boskov, tecnico della Samp, ci lascia per lui un'altra definizione leggendaria: “Gullit è come cervo che esce di foresta”. Quel 3-2, coi blucerchiati che segnano tre gol a una squadra che in tutta la stagione ne subirà 25 in 54 partite e che vincerà scudetto e Coppa Campioni, è un gioiello nella carriera dell'olandese.

Ci riproverà, Ruud, con il Milan e con Capello, ma sarà un'avventura di pochi mesi nella stagione successiva. Torna alla Sampdoria, dove ormai non gioca più come attaccante e nemmeno come centrocampista, ma come un jolly a tutto campo, una specie di libero moderno. Ed è sempre in quel ruolo che giostrerà al Chelsea, la sua ultima squadra da professionista, in cui indossa la maglia numero 4 e dove diventerà allenatore-giocatore, vincendo anche una FA Cup. Verrà esonerato e sostituito da Gianluca Vialli. Da allenatore puro avrà fortune alterne. L'ultima esperienza, nel 2011 al Terek Groznyj, in Russia. Poca roba, prima dell'esonero. Di lui rimane di fatto solo l'immensa carriera da calciatore, forse uno dei migliori giocatori “totali”, nel senso olandese. Totale in campo e anche fuori, con il suo volto divenuto popolare.

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