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Giocatore totale, il "meno appariscente" del celebre trio degli Oranje e rossonero, uno dei sei uomini ad aver vinto la Coppa Campioni/Champions League sia in campo che in panchina
Dei tre era il meno appariscente, ma poi forse guardando il lungo periodo è stato anche quello che ha vinto di più. I tre sono gli olandesi, genericamente "del Milan": Marco van Basten, Ruud Gullit e il terzo, Franklin Edmundo Rijkaard detto Frank o Frankie. Giocatori assoluti, giocatori totali come da madrepatria calcistica. Van Basten e Gullit, quattro Palloni d'Oro in due, tanti gol e assist, finalizzazioni spettacolari: Rijkaard "solo" un mediano o all'occorrenza difensore centrale, ma va celebrato pure lui come si deve a un grandissimo del pallone.
E pensare che l'olandese non avrebbe dovuto vestire i colori rossoneri. Per occupare il posto del terzo straniero in rosa, infatti, Silvio Berlusconi aveva scelto l'argentino Claudio Borghi. Tutt'altro tipo di giocatore, il sudamericano, molto più offensivo di Rijkaard: una volta concretizzatasi la possibilità di prendere Frankie, però, Sacchi si sarebbe impuntato e Borghi spedito al Como, dove a dire il vero avrebbe combinato ben poco.
Rijkaard così arriva al Milan dal Saragozza, non proprio una delle big del calcio spagnolo, anzi una squadra da centro classifica. Il suo ruolo è di difensore centrale, forgiatosi nel leggendario settore giovanile dell'Ajax. Debutta ad appena 17 anni con Beenhakker in panchina, poi quando al suo posto arriva Cruijff diventa un perno insostituibile dei Lancieri, con cui nel 1987 conquista la Coppa delle Coppe. Davanti ci pensa Van Basten, che poi ritroverà al Milan, a stendere il Lokomotiv Lipsia: dietro, al centro della retroguardia, c'è Rijkaard. I rapporti con Cruijff in compenso sono ai minimi storici e alla prima occasione buona viene ceduto, dopo l'ennesimo litigio col "Profeta del gol", nell'estate di quello stesso 1987 allo Sporting Lisbona, che però non riesce a tesserarlo in tempo. A quel punto può solo mandarlo in prestito al Saragozza. Un anno solo, poi piomba il Milan, coi tifosi della squadra portoghese inferociti. Forse avevano intuito che tipo di giocatore fosse Frank. Si dice che Adriano Galliani e Ariedo Braida, i dirigenti rossoneri, fossero riusciti ad andare via da Lisbona nascondendo il contratto di Rijkaard nelle mutande.
Estate 1988, si compone il trio Oranje. Ritrovando Gullit e Van Basten, per Rijkaard è come tornare in famiglia. Col primo i rapporti risalgono addirittura ai due papà, entrambi emigrati dal Suriname ad Amsterdam a pochi isolati di distanza, nel quartiere Jordaan. Col centravanti, l'abbiamo già visto, di come avesse condiviso in passato lo spogliatoio.
Con Frank in mezzo al campo Sacchi trova l'uomo di peso in grado di aiutare i difensori. Colosso di 1.90, stazza imponente, forte di testa e abile con entrambi i piedi, Rijkaard è meno pubblicizzato di altri compagni di squadra, ma è un giocatore di rara completezza. Con Filippo Galli (o Costacurta) e Baresi intoccabili al centro della retroguardia, Sacchi lo schiera in prevalenza come mediano, capace all'occorrenza di inserirsi. Proprio ciò che mancava per dare l'assalto all'Europa, dopo aver vinto lo scudetto. Così Ancelotti ha meno compiti di copertura, Colombo può continuare a spolmonarsi e Donadoni si trasforma da ala e basta a fantasista a tutto campo. Tanto le spalle sono coperte da Rijkaard, questo alieno che ha già conquistato l'Europeo con l'Olanda assieme a Gullit e Van Basten. In che ruolo? Naturalmente difensore centrale. Lo stesso dove nel 1990 troverà, invece, una delle sue delusioni più atroci in nazionale, l'eliminazione agli ottavi del Mondiale contro la Germania Ovest con tanto di sputo (vigliacco perché alle spalle) a Rudi Voeller.
Al Milan cambia solo il posizionamento in campo, ma non i risultati. Pronti-via ed è subito Coppa dei Campioni: nella cavalcata fino al 4-0 della finale di Barcellona alla Steaua Bucarest l'olandese trova il tempo di segnare un gol, di testa, nel clamoroso 5-0 con cui i rossoneri asfaltano il Real Madrid a San Siro nella semifinale di ritorno. Cross di Tassotti, decollo di Rijkaard e rete del momentaneo 2-0.
L'anno successivo Frank punisce di nuovo gli spagnoli lungo il cammino europeo, prima di segnare forse il suo gol più importante in maglia rossonera, quello con cui piega il Benfica in finale di Coppa Campioni. Gran giocata di Van Basten e inserimento vincente di Rijkaard, con rasoiata d'esterno risolutiva. Esultanza con le treccine, meno folte di quelle di Gullit, ma pur sempre iconiche. Uomo da grandi partite, l'olandese segnerà addirittura una doppietta nella finale di Coppa Intercontinentale sempre nel 1990 contro l'Olimpia Asunción. Vincerà altri due scudetti con il Milan prima di salutare l'Italia nel 1993: direzione "casa", ovverosia il ritorno all'Ajax, dove diventa il padre putativo di una nidiata di giovani campioni destinati a fare epoca.
C'è il tempo per una "vendetta" nei confronti proprio della sua ex squadra, e cioè batterla in finale di Coppa Campioni nel 1995. Rijkaard è titolare, nel 3-4-3 di Van Gaal è il pilastro davanti alla difesa. Sembra la riedizione di Milan-Benfica del 1990 e non solo perché il teatro è di nuovo il Prater di Vienna: partita bloccata e bruttina, fino a quando Kluivert, appena entrato, in extremis, non dà il trionfo ai Lancieri. Quella è di fatto l'ultima vera partita da professionista per Frank.
Miguel Muñoz, Giovanni Trapattoni, Johan Cruijff, Carlo Ancelotti, Zinedine Zidane e Frank Rijkaard: sono solo questi sei ad aver vinto la Champions League/Coppa Campioni sia da calciatore che da allenatore. Gente speciale, non a caso due di loro provengono dal grande Milan di Arrigo Sacchi: erano il cuore del centrocampo rossonero, ma Rijkaard la Champions da tecnico la conquista con il Barcellona, nel 2006.
Strana parabola, quella di Frank in panchina. Di lui si ricorda la faccia stranita nell'estate del 2000 quando è abbastanza convinto di poter vincere l'Europeo in casa con la sua Olanda, rullo compressore fino alle semifinali. Dopodiché, il pomeriggio magico di Toldo, un'Italia che gioca 90 minuti in 10 contro 11 e un'Olanda che sbaglia 5 rigori su 6, roba da macumbe o giù di lì. Tutto sfumato? No, se possibile gli va anche peggio allo Sparta Rotterdam, che porta alla prima retrocessione della sua storia nel 2002. Solo un incosciente a quel punto potrebbe affidarsi a Rijkaard, ma è ciò che succede al Barcellona, incredibile ma vero, dove il suo vecchio allenatore/nemico Cruijff ha ancora un peso preponderante sulla dirigenza. L'inizio è disastroso, e con un girone di ritorno mostruoso porta i catalani al secondo posto nella Liga 2003-04. Lancia gente come Iniesta e dà le chiavi della squadra a Ronaldinho, conferma titolari giovanotti locali come Xavi e Puyol, ma soprattutto è colui che fa esordire un promettente argentino un po' mingherlino, ma dai grandi numeri: si chiama Lionel Messi.
L'apoteosi è, appunto, nel 2006 quando contro l'Arsenal il Barça conquista la seconda Champions League della sua storia dopo quella del 1992 vinta sulla Sampdoria grazie al gol di Koeman. Tuttavia è anche grazie al lavoro di Rijkaard che i blaugrana mettono le basi per quel ciclo clamoroso che sarebbe andato avanti di fatto per un decennio abbondante.
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