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Il tecnico romagnolo ha segnato il calcio italiano con il suo schema unico, il 3-4-3, con cui diventò grande all'Udinese e che tentò di replicare al Milan dove vinse uno scudetto insperato
Un allenatore nato il primo aprile in Emilia-Romagna: facile, Arrigo Sacchi. Vero, ma non solo lui. Ce n'è un altro che con il "vate di Fusignano" ha molte cose in comune, compreso l'aver vinto uno scudetto con il Milan al primo anno sulla panchina rossonera. Parliamo di Alberto Zaccheroni, nato il primo aprile del 1953.
Come Sacchi, anche Zaccheroni, che nasce l'1 aprile 1953, viene da una famiglia borghese e da calciatore non ha praticamente esperienza se non per qualche partita tra i dilettanti. Di sicuro c'è che è tifoso dell'Inter, una passione trasferitagli da papà Adamo, proprietario di un albergo con 45 stanze a Cesenatico che vorrebbe addirittura chiamare Internazionale. Alla fine l'insegna dirà "Ambrosiana", ma siamo comunque lì. Per Alberto, un diploma da perito turistico, per seguire le orme del padre. E invece spunterà il calcio a cambiare le carte in tavola.
Gioca poco per motivi di salute, passa dalle giovanili del Bologna ma gli toccano i campi periferici della Romagna iniziando ad allenare per divertimento. Grazie ad alcuni amici finisce ad allenare i Pulcini dell'Ad Novas, in terza categoria: è solo il debutto di una carriera che trova terreno fertile in una regione come la Romagna, appunto, dove il calcio pullula di squadre, allenatori e giocatori. Nella stagione 1983-84 è alla guida degli Allievi del Cesenatico, quando l’allenatore Magrini viene esonerato e la società si affida incredibilmente a lui per evitare la retrocessione tra i dilettanti. Zaccheroni tiene la squadra in C-2 ma torna ai ragazzi; stessa cosa nella stagione successiva, quando viene promosso a stagione in corso. Siamo pronti al grande salto, alla titolarità della panchina. Riccione, San Lazzaro, Baracca Lugo: tutto sempre in zona, prima della chiamata del Venezia. In Laguna è subito promozione dopo uno spareggio con il Como incredibilmente a Cesena. Per la quarta volta Zaccheroni ha portato una squadra in una categoria superiore dopo il Riccione e il doppio balzo con il Baracca Lugo. Stavolta però il Venezia è arrivato addirittura in B.
Nel tritacarne di Zamparini è difficile lavorare: due volte esonerato e due volte richiamato dopo quella promozione, alla fine Zac cede e va a Bologna, dove pure lì finisce licenziato. Si rigenera prendendo in corsa il Cosenza, in zona-retrocessione in B nel campionato 1994-95, e portandolo alla salvezza. Zaccheroni è ancora giovane, ha 42 anni, e arriva la chiamata della Serie A, dall'Udinese. Anche il patron friulano Pozzo è uno che tende a silurare gli allenatori con cui non va d'accordo, ma Udine è una piazza tutto sommato tranquilla. Comincia con un decimo posto, ma il capolavoro vero è nella stagione successiva, nel 1996-97; non solo per il quinto posto finale, ma per una rivoluzione tattica destinata a cambiare nel suo piccolo la storia del calcio italiano. Zaccheroni, infatti, lancia uno schema che diventerà un suo marchio di fabbrica: il 3-4-3. L'ispirazione gli era venuta quando, dopo l'esonero dal Bologna, era andato a Barcellona per vedere alcuni degli allenamenti di Johan Cruijff al Barcellona. L'olandese utilizzava un 3-4-3 con un centrocampo a rombo e Guardiola ad abbassarsi tra i difensori. Zac preferisce mettere in linea la mediana e sfruttare al massimo tre attaccanti di razza come Amoroso, Bierhoff e Poggi. Serve solo l'occasione giusta per testarla, e questa capita appunto nel campionato '96-97, addirittura in una partita in trasferta contro la Juventus. Quando dopo 50 secondi l’arbitro, Roberto Bettin, espelle il terzino destro belga Genaux, Zaccheroni non tocca niente: difesa a tre e due punte. La Juve non capisce niente e finisce affossata 3-0, in casa, con doppietta di Amoroso e gol di Bierhoff. Uno schema replicato da lì in avanti e per sempre, nel limite del possibile. Il segreto è avere giocatori disposti a sacrificarsi, cosa che magari in un grande club è più difficile.
Sta di fatto che i radar delle big sono arrivati fino a Udine ed è il Milan che sceglie Zaccheroni per risalire dopo due anni disastrosi. Il tecnico romagnolo porta in rossonero due fedelissimi, due chiavi di quel 3-4-3: il danese Helveg come esterno destro di centrocampo e soprattutto Oliver Bierhoff, riferimento assoluto al centro dell'attacco, con le sue capacità uniche di primeggiare nel gioco aereo. Il problema è che forse nella rosa del Milan non ci sono giocatori adatti allo schema-tipo, a partire dagli attaccanti, un po' troppo anarchici (Weah), o da alcuni fantasisti di difficile collocazione (Boban, Leonardo). Zac invece dopo un girone d'andata difficile trova una quadra insperata, vince le ultime sette partite e lo scudetto in volata sulla Lazio, con Bierhoff autore di 20 gol e Boban che è andato a “sporcare” lo schema in un 3-4-1-2.
Sarà l'unica gioia di Zaccheroni in rossonero, nonostante le tante analogie con Sacchi. Esonerato durante la stagione 2000-01 dopo un flop in Champions League, diventerà una specie di “tinkerman”, di aggiustatore di lusso, per le squadre in crisi a metà stagione. Comincia con la Lazio, per poi andare all'Inter e alla Juventus. Trova una seconda patria in Giappone. Con la nazionale nipponica è un quadriennio d'oro, letteralmente, con la vittoria in Coppa d'Asia nel 2011 e la partecipazione al mondiale del 2014. Non fortunatissima a dire il vero con l'eliminazione al primo turno per mano di Colombia e Grecia. Eccellente commentatore anche in tv, sempre pacato, Zaccheroni è stato un allenatore che pur non vincendo molto ha comunque lasciato il segno in quanto a competenza e attaccamento al lavoro.
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