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L'attaccante lucano venne convocato da Bearzot per Spagna '82 come riserva di Rossi, consapevole che non avrebbe mai giocato per non mettere pressione su Pablito
Come passare alla storia del calcio italiano senza vincere nulla in concreto, ma partecipando in maniera più che altro decorativa a uno dei momenti più indimenticabili del nostro pallone: è Franco Selvaggi, la storia di chi c'era al Mondiale del 1982 come "portaborse", un premio al sacrificio e all'umiltà per questo giocatore nato il 15 maggio del 1953, 70 anni fa.
Tutti ci ricordiamo giustamente dell'apporto di Paolo Rossi in quel Mondiale di Spagna '82, dai tre gol al Brasile fino alla zampata della finale. Sei gol in tre partite per entrare nella leggenda dopo un inizio in cui era stato totalmente disastroso, quasi imbarazzante. Dietro le spalle Pablito aveva comunque la fiducia del commissario tecnico Enzo Bearzot, ma soprattutto la consapevolezza di non avere nessuno a caccia della sua maglia da titolare: sì, perché dalle convocazioni le gerarchie erano state chiarissime, a cominciare dalla non-chiamata del capocannoniere del campionato, il romanista Roberto Pruzzo.
Meglio Selvaggi, "Spadino" Selvaggi, attaccante del Cagliari. Suo il compito delicato di partire per la Spagna sapendo chiaramente che a meno di passerelle non sarebbe mai sceso in campo, perché Paolo Rossi era intoccabile, nonostante la forma non eccelsa. Maglia numero 21, l'ultimo della fila tra i giocatori di movimento anche in ordine alfabetico, e la sensazione di essere nel gruppo più per motivi di spogliatoio che puramente tecnici. Un ruolo in realtà molto più importante di quel che sembrasse, perché non tutti erano in grado di mettersi così al servizio della squadra. Al primo errore di Paolo Rossi chiunque altro o quasi avrebbe bramato per prendergli il posto, e invece Selvaggi lì, tranquillo, quasi in vacanza, anche se pronto alla bisogna.
Unico "problema", il compagno di stanza in ritiro; quel Marco Tardelli chiamato "Schizzo" sempre irrequieto e pronto a interrompere il sonno. Entrambi però soffrono d'insonnia quindi è quasi un tenersi compagnia a vicenda. Comunque meglio di Bruno Conti, finito a dormire per lo stesso motivo nella camera singola. Selvaggi tuttavia non metterà mai piede in campo nelle sette partite del mondiale 1982, ma avrà l'onore di tornare a casa con la coppa, degnissimo uomo-spogliatoio.
Selvaggi ultimo della fila al mundial, ma attaccante degnissimo del palcoscenico della Serie A: titolare al Cagliari al momento della convocazione, era arrivato alla massima categoria proveniente dal profondo sud, da quella Basilicata non proprio terra fertile per i calciatori. Franco infatti si era dovuto arrangiare facendo le giovanili alla Ternana, per poi cominciare a girovagare in cerca dell'ambiente ideale. Decisivi i cinque anni al Taranto, tra il 1974 e il 1979, sempre in Serie B. Lì arriva la chiamata di Gigi Riva, che ha visto quel centravanti piccolo di statura, coi baffetti, e crede che vada bene per il "suo" Cagliari, appena tornato in Serie A. Una categoria già assaggiata con la Roma e la stessa Ternana, ma mai davvero goduta per Selvaggi, che invece si trova benissimo sull'isola: sono ben 28 i gol in tre campionati, in un'epoca in cui le difese avversarie non è che facessero complimenti. Quindi anche la vulgata di un giocatore "modesto" non convince: il fatto è che all'epoca la concorrenza davanti per l'Italia era fortissima. Infatti Selvaggi in nazionale gioca appena 3 partite, tutte prima dei mondiali del 1982, senza mai segnare ma rimanendo nel gruppo. Dopodiché fine della sua storia in azzurro, come ad ammettere di aver compiuto il proprio dovere. Non finirà invece la carriera nei club: biennio al Torino con 15 gol, poi Udinese e Inter in Serie A e un ultimo spezzone alla Sambenedettese in B, quando si ritira nel 1987, a 34 anni. Ma Selvaggi per tutti sarà sempre quello che vinse il mondiale senza giocare, anzi felicissimo per questo ruolo.
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