Bruno Pace, un uomo dal cuore grande

Bruno Pace, un uomo dal cuore grande

Dribblomane e fantasioso da giocatore, esponente di un calcio fluido e redditizio da allenatore, capace di un’impresa enorme a Catanzaro

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C’è modo e modo per diventare un mito. Uno dei più efficaci è quello di lasciare un bel ricordo per quanto riguarda le doti umane ancora prima che per i meriti professionali. Nel calcio italiano dagli anni Sessanta agli Ottanta, prima come talentuoso centrocampista offensivo, poi come tecnico capace di ottimizzare il materiale umano a sua disposizione trasformandolo in risorsa tattica, Bruno Pace è stato in grado di farsi voler bene e di far parlare di sé con stima anche a tanti anni di distanza dalle esperienze fatte nelle città dove il suo nome è ancora oggi scaturigine di ricordi vittoriosi e di conquiste di ambiti importanti in città che nel mondo del pallone erano nobili decadute, come Bologna tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, o in piazze che con lui alla guida hanno conosciuto ribalte mai raggiunte prima, come Catanzaro all’inizio degli anni Ottanta. 

Bruno Pace, la carriera da calciatore

Pescara è stata alba e tramonto della sua vita, settantaquattro anni devoluti al pallone, anche come brillante e non banale opinionista televisivo nei circuiti locali. Classe 1943, dall’Adriatico ha assorbito un orizzonte esistenziale rischiarato dalla semplicità, anche quella delle cose importanti che accadono per caso: al provino per il Pescara si presentò soltanto perché glielo aveva consigliato un amico. Uno schietto, rivoluzionario a modo suo, fuori dagli schemi se paragonato al prototipo del calciatore italiano di quegli anni: un virtuoso del dribbling, spesso reiterato all’eccesso. Uno che faceva ammattire le difese avversarie e i propri compagni al tempo stesso. Da calciatore, il meglio lo ha avuto a Bologna, dove ha giocato dal 1966 al 1972, vincendo una Coppa Italia e un Torneo Anglo-Italiano. Ala tornante, per rispolverare una terminologia d’epoca quanto ai ruoli che si ricoprivano in campo, Pace sapeva essere soprattutto un cesellatore di assist, spesso serviti all’indietro, dopo aver guadagnato la linea di fondo con i suoi scatti secchi, che mettevano in difficoltà anche i più blasonati tra i marcatori.

L’allenatore Bruno Pace

Come allenatore aveva cominciato a Modena, ottenendo una promozione dalla C2 alla C1 ma soprattutto mettendo in mostra un calcio fluido e redditizio. Dall’Emilia a Catanzaro, dove al momento del suo arrivo deve subito prendere atto della cessione dell’idolo indiscusso, il goleador Massimo Palanca, acquistato dal Napoli. Un mercato caratterizzato da poche risorse e molta saggezza da parte del direttore sportivo Landini gli consentì di allestire una squadra che era un mix di veterani, come Sergio Santarini e Claudio Ranieri e di giovani promesse come Antonio Sabato, Massimo Mauro, Edi Bivi. Una stagione storica, quella dell’edizione 1981-82 della Serie A per il Catanzaro: settimo, miglior piazzamento di sempre non solo per la società, ma in assoluto per tutte le calabresi che hanno disputato campionati nella massima categoria. Siccome la riconoscenza non è di questo mondo, soprattutto se in estate una società cede subito i pezzi migliori – Mauro all’Udinese, Sabato all’Inter, Borghi al Torino, Celestini al Napoli –, dopo un inizio di stagione faticoso Pace viene esonerato nel gennaio del 1983, dopo una rovinosa sconfitta a San Siro contro l’Inter. Nato il 16 giugno del 1943 a Pescara, Pace ha salutato il mondo nella stessa città, il 7 febbraio del 2018. A essergli fatale, un attacco di cuore, quello stesso cuore definito “grande” da tutti quelli che hanno lavorato con lui: sia gli ex compagni di squadra, sia i giocatori che ha allenato.

L'anno d'oro di Bruno Pace

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