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Un attaccante leggendario, nato per segnare. Esploso all'Atalanta, poi la Juve e il passaggio al Milan. Campione del mondo con l'Italia nel 2006 pur giocando appena 33 minuti
Dategli una linea del fuorigioco fatta male o un rimpallo in area e lui vi ripagherà quasi sempre con un gol: Pippo Inzaghi, la fotografia dell'attaccante di razza. Compie cinquant'anni l'eterno ragazzo del pallone nostrano, più ancora del suo "gemello" Christian Vieri, con quel fisico asciutto come se non avesse mai smesso. Mettetelo lì ancora oggi e vediamo se non segna, di nuovo, sfruttando il suo assurdo fiuto.
Filippo Inzaghi nasce a Piacenza, nessuno si sogna di chiamarlo così perché Pippo è troppo più bello, più immediato, più tutto. Debutta tra i pro con la squadra della sua città, poi inevitabilmente deve scendere di categoria, al Leffe, dove segna subito 13 gol in C1. A vent'anni è pronto di nuovo per la Serie B: lo prende il Verona, che scopre quell'attaccante elettrico in una squadra e in un campionato che visti con gli occhi di oggi sembravano più una A2. Inzaghi va a bersaglio in 13 occasioni, l'Hellas si salva un po' col fiatone: davanti a lui in classifica cannonieri c'è gente come Bierhoff, Batistuta, Carnevale, Chiesa e Tovalieri.
Piacenza lo accoglie di nuovo, a quel punto è una stella della B: altri 15 gol, promozione in A e la sensazione di poter spiccare definitivamente il volo. Il Parma lo nota e lo prende, non è lontano da casa, ma lontano dal cuore. I Ducali hanno già sistemato l'attacco con Zola e il Pallone d'Oro, Hristo Stoichkov, e per SuperPippo non c'è quasi spazio. Si imbruttisce, a Parma, si infortuna pure; aspetta la chiamata giusta per ripartire, elettrico come sempre.
Ci vuole l'Atalanta, un allenatore che ha fiuto per i giovani talenti come Emiliano Mondonico: nel 1997 Inzaghi è capocannoniere del campionato, addirittura, con 24 gol. Del tutto immarcabile, giocando per una provinciale. In coppia con l'imprevedibile fantasista Domenico Morfeo regala momenti di grande spettacolo, pur nella sua essenzialità. Inzaghi infatti è "solo" il finalizzatore, veloce e rapace, non è un colosso ma i difensori non ci capiscono niente.
Su di lui si fionda la Juventus, che sfrutta la corsia preferenziale con i bergamaschi e per 20 miliardi porta Inzaghi in bianconero. C'è da sostituire Christian Vieri, passato all'Atletico Madrid, e nulla di meglio del miglior marcatore della Serie A. In coppia con Del Piero semineranno il terrore nelle difese avversarie per almeno un anno, fino al gravissimo infortunio del numero 10 che lascia "orfano" a lungo Inzaghi. Intanto vince lo scudetto e sfiora la Champions League, perdendo in finale contro il Real Madrid.
Nell'estate 2001 un po' a sorpresa su Pippo si tuffa il Milan. Veste rossonero in un'operazione che comprende anche la cessione alla Juventus del terzino Cristian Zenoni. Sta per cominciare un decennio formidabile, sia per Inzaghi che per il Diavolo.
Dieta ferrea, gioco essenziale: minimalismo o meno, anche al Milan è difficile trovare qualcuno in grado di fermare Inzaghi. Si infortuna gravemente a un ginocchio durante una partita contro il Chievo, i rossoneri a fatica si qualificano per la Champions League ed è a quel punto che scocca l'amore tra SuperPippo e l'Europa.
Non che prima ci fossero "screzi", ma con il Milan il livello di Inzaghi cresce a dismisura. Sembra costruito apposta per essere decisivo tra il martedì e il mercoledì. La cavalcata che porta i rossoneri a vincere la Champions nel 2003 in finale contro la Juve ha un solo vero protagonista ed è SuperPippo: nel primo girone di qualificazione inizia segnando 8 gol in 4 partite, poi "rallenta" ma fermandosi comunque a 12. In coppia con Shevchenko oppure come unico riferimento del cosiddetto "Albero di Natale" di Carlo Ancelotti, il 4-3-2-1 che ha fatto epoca,
Come il buon vino, invecchiando migliora, sempre con l'Europa come palcoscenico. Bisogna centellinarlo, adesso, anche perché gli infortuni cominciano a pesare. Altro capolavoro, nella stagione 2006-07, che il Milan inizia con i preliminari di Champions ad agosto. Inzaghi è andato in vacanza, ha appena vinto il Mondiale disputando appena 33 minuti (e un gol contro la Repubblica Ceca), ma richiamato all'ordine risponde presente. Gol alla Stella Rossa nel turno preliminare, in una Milano deserta, e i rossoneri sono di nuovo in tabellone.
Pippo è l'uomo di coppa, il Milan se lo gode come mai prima di allora forse. Si sa che ogni occasione per lui è buona, per fare gol. Affiancato da un Kaká stellare, Inzaghi è una minaccia costante: la sua rete al Bayern, nel ritorno dei quarti di finale, è il manifesto del suo gioco, con quello scatto sul filo del fuorigioco assistito da un tacco di Seedorf.
In finale col Liverpool, il capolavoro, nella rivincita della sfida del 2005 che aveva visto il Milan soccombere in maniera assurda ai rigori dopo essere andato avanti 3-0 (ma Pippo era infortunato). Il Diavolo stavolta trionfa, 2-1, ed entrambi i gol sono di Inzaghi: la prima è "una magata", un colpo di petto su punizione di Pirlo che spiazza Reina, il secondo è un film già visto, lo scatto sul filo del fuorigioco con gli inglesi che non ne hanno più per salire, e il tocco morbido rasoterra su assist di Kaká.
Troverà il tempo per segnare anche contro il Boca Juniors nella finale del Mondiale per Club, sempre nel 2007: l'ultimo titolo internazionale vinto con il Milan. In Italia alzerà ancora uno scudetto, nel 2011. Il ritiro, l'anno dopo tra le lacrime, con gol al Novara a San Siro per congedarsi. Milan di cui diventerà allenatore, con fortune alterne. «Non avrebbe dribblato nemmeno una sedia», disse di lui Jorge Valdano, campione del mondo con l'Argentina e leggenda del Real Madrid. Mentre Cruijff proporrà una visione diversa: «In realtà, Inzaghi non sa proprio giocare a calcio. È solo che sta sempre al posto giusto».
Chi aveva ragione? Nel dubbio meglio preparare il pallottoliere, per contare i gol di SuperPippo.
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