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Il tecnico turco portò il Galatasaray alla storica vittoria nella Coppa Uefa del 2000. Con Fiorentina e Milan grandi picchi e clamorosi crolli, con due esoneri. Al suo posto i rossoneri presero Ancelotti aprendo un ciclo straordinario
Viva l'Imperatore, viva Fatih Terim, l'unico vero imperatore del calcio moderno. Settant'anni oggi per l'allenatore turco, al momento disoccupato ma assolutamente nel pantheon dei grandi tecnici quantomeno a cavallo dei due millenni. Nessuno a parte lui ha mai portato una squadra turca a vincere una competizione europea, la Coppa Uefa del 2000: con Fiorentina e Milan ha toccato vette di altissimo calcio e picchi al ribasso quasi assurdi, con totale di due esoneri. Nel suo piccolo, ha segnato comunque un'era l'Imperatore, che aveva in casa, si dice, un quadro di Napoleone Bonaparte.
L'Italia inizia a conoscere Fatih Terim nel novembre del 1999: ultima giornata del girone di Champions League, il Milan all'Ali Sami Yen di Istanbul sta vincendo 2-1 contro il Galatasaray ed è qualificato agli ottavi di finale. Nel giro di cinque minuti però i rossoneri vengono sorpassati dalle reti di Hakan Sukur e dal rigore di Ümit Davala. Gli uomini all'epoca di Zaccheroni passano così dal raddrizzare la stagione europea al nulla cosmico; sì, perché con quel 3-2 il Milan arriva quarto nel girone e in Coppa Uefa viene ripescato proprio il Galatasaray, che nel maggio del 2000 quella manifestazione andrà addirittura a vincerla sconfiggendo l'Arsenal in finale ai calci di rigore. È l'apoteosi di Terim e di un calcio turco che non a caso di lì a due anni porterà la Nazionale nientemeno che al terzo posto al Mondiale: una squadra che di fatto è la replica di quel Galatasaray più poche aggiunte da altre squadre. Tutti iniziano a prendere confidenza coi calciatori di cui quasi non sai in realtà dove siano i nomi o i cognomi: Umit Davala, Okan Buruk, Emre Belozoglu (questi ultimi due andranno all'Inter), il calvo Hasan Sas, il capellone Ergun Penbe, e naturalmente Hakan Sukur, il capitano, il cuore e l'anima di tutto il movimento calcistico, ex meteora al Torino. Mai la Turchia era stata così "pop", calcisticamente parlando, come in quel periodo. Terim vince la Coppa Uefa aggiungendo al blocco turco vecchie lenze come Claudio Taffarel, Gica Popescu e, con ogni probabilità il più forte di tutti, Gheorghe Hagi. Fatih decolla verso l'olimpo degli allenatori europei: la sua "arringa" alla squadra nel prepartita con l'Arsenal in camicia bianca e cravatta, elegante e forse incurante del caldo che si stava respirando in spogliatoio, descrive il magnetismo che sta esercitando sui suoi ragazzi. Non si muove una mosca, infatti, fino all'urlo belluino, l'incoraggiamento definitivo. D'altronde il gruppo è unitissimo, specie da quando lo stesso Terim ha pagato di tasca sua parte degli stipendi della squadra, con il club in crisi economica.
A quel punto potrebbe andare ovunque, forse, il tecnico turco. Ambizioso lui (Fatih in turco significa "conquistatore", del resto), ma comunque meno del presidente della Fiorentina, Vittorio Cecchi Gori, che lo strappa al Galatasaray. È un'estate difficile per i viola, che hanno perso il loro fenomeno, Gabriel Batistuta, trasferitosi alla Roma. "Terim l'abbiamo scelto perché è capace di vincere anche senza campioni", gongola Cecchi Gori alla conferenza stampa di presentazione. E Fatih lascia a malincuore la sua casa di Tarabya: "La Turchia per dieci anni ha praticato uno stile difensivo, poi sono arrivato io e le ho cambiato mentalità, così abbiamo cominciato a vincere". Finirà nel febbraio 2001, licenziato dopo che la squadra aveva preso a schiaffi il Milan (4-0) e pareggiato con la Juventus. La società in realtà è in crisi profonda. Cecchi Gori è quasi con l'acqua alla gola, economicamente parlando (200 miliardi di deficit, verrà valutato il buco in estate). "Se non firma Terim vi facciamo un culo così", cantano i tifosi al Franchi: sì, perché il contratto del turco è per una stagione con solo un'opzione sulla successiva. Il presidente è sicuro: "Rimarrà a lungo con noi, mi chiami quando vuole e ci accordiamo". E invece no, con un colpo di teatro l'allenatore annuncia pubblicamente che lascerà il club a fine campionato. Ci sono già le sirene proprio del Milan a condizionarlo. "Non ho fiducia nel futuro", ammette in un'affollata conferenza stampa. La Fiorentina prima pensa di fargli causa e poi lo licenzia, direttamente, un mese dopo, alla sesta partita consecutiva senza vittoria: 2-2 in casa col Brescia, il 25 febbraio 2001. Nel frattempo, però, in Coppa Italia si è qualificato per la finale eliminando il Milan e confermandosi bestia nera dei rossoneri. Quel trofeo lo vincerà Roberto Mancini, che prende il suo posto in panchina pur tra le polemiche, non possedendo il patentino di allenatore di prima categoria.
Ha già un accordo col Milan, che ha cacciato Zaccheroni per mettere in panchina come traghettatore Cesare Maldini. Lunedì 16 luglio 2001 davanti alla Stazione Centrale di Milano c'è il primo bagno di folla. "Mi ricorda la campagna acquisti degli olandesi", gongola Adriano Galliani, ad rossonero, il giorno del raduno ufficiale. Del resto sono arrivati Filippo Inzaghi dalla Juventus e Manuel Rui Costa da una Fiorentina ormai in disasmo economico. Terim spavaldo: "Io sono pronto a tutto, ma ho un grande vizio, sono molto desiderato e difficilmente mi cacciano". Due anni di contratto, tre miliardi a stagione e grandi progetti: "Sono sicuro che tra due mesi la società verrà da me per concordare ulteriori miglioramenti". L'esordio in Serie A è stentato, Rui Costa si rompe un braccio subito e il Brescia vola 2-0 con doppietta dell'albanese Tare: nella ripresa la raddrizzano Brocchi e Shevchenko, su rigore, ma è un passo falso evidente. Terim ha già meno prosopopea: "Non siamo una grande squadra". Le critiche crescono, i malumori si insinuano a partire dallo stesso Galliani, che non apprezza molto certi atteggiamenti del turco a Milanello come i sigari e le conferenze stampa in pantaloncini e bermuda. Si salva nel derby vinto con una rimonta impetuosa e una squadra che rivoltata come un calzino dopo l'intervallo deborda con Inzaghi-Shevchenko-Rui Costa e il terzino destro Contra che sembra Cafu. Contro il Torino arriva l'ultima mazzata, sconfitta 1-0 con rigore sbagliato da Inzaghi. Il giorno dopo Carlo Ancelotti sta andando a firmare per il Parma: Galliani va, assieme a Braida, a casa di Carletto a Felegara, più o meno chiedendogli di lasciar perdere l'impegno già preso. Così succede, ma c'è da silurare Terim. Ci vuole poco. Quando riceve la telefonata di licenziamento da parte di Galliani è in un mega-hotel di Istanbul in veste di conferenziere: argomento, come si gestisce e si motiva una squadra di calcio.
Cadrà comunque in piedi, perché lo richiamerà il Galatasaray, primo dei suoi tre ritorni in tre momenti diversi. E poi la Nazionale turca, altra grande madre: si era fatto conoscere al grande pubblico agguantando nel 1996 una storica qualificazione all'Europeo, uscendo subito peraltro, e poi nel 2008 in Austria e Svizzera dove, invece, va molto meglio. Raggiunge addirittura la semifinale contro una Germania per la quale la partita è quasi un derby, viste le migliaia di turchi accolti tra i propri confini (qualcuno di loro, come Ozil, diventerà campione del mondo, ma gli esempi sono molteplici) e solo una delle pochissime reti in carriera di Philipp Lahm gli impedisce di giocarsi l'Europeo contro la Spagna. È l'ultimo vero grande miracolo dell'Imperatore, che affronta quella partita senza quattro titolari squalificati eppure cade solo al novantesimo, a testa altissima. Meno bene nel 2016, anche per via di fratture interne al gruppo. Poco importa, al Galatasaray ha continuato a vincere, 8 titoli nazionali in totale, fino al 2022.
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