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Storico vice di Zoff e Tacconi, vinse tanto nei suoi dieci anni alla Juve. Tifoso interista da bambino, non amava la mondanità e quando svestiva i guanti si dedicava alla sua grande passione: la pittura
Da Giulio Nuciari a Valerio Fiori, passando per Fernando Orsi, Michelangelo Rampulla, Raffaele Di Fusco, Gianmatteo Mareggini, Massimo Piloni, Renato Copparoni, Nevio Favaro, Astutillo Malgioglio. È veramente lunghissima la lista dei portieri di riserva rimasti negli annali. Chi più di tutti ha però saputo coltivare la virtù della resilienza, tanto da essere definito il numero 12 per eccellenza, è Luciano Bodini, storico vice di Dino Zoff prima e Stefano Tacconi poi alla Juventus. Se è vero che a scrivere la storia sono i numeri 1, lo è altrettanto che quello del portiere di riserva è il ruolo più complesso da ricoprire in una squadra di calcio. Non tanto oggi, in quanto il turnover riguarda anche l'estremo difensore, ma soprattutto qualche decennio fa il numero 12 rappresentava un vero e proprio eroe, l'elemento più importante della panchina, il primo in ordine numerico ma l'ultimo a venire chiamato in causa. Sono tre le doti richieste al perfetto portiere di riserva: una pazienza infinita; farsi trovare pronto quando gli viene data un’opportunità e una grande dose di umiltà. Doti che appartengono al protagonista del nostro racconto: Luciano Bodini, un uomo d’altri tempi che alla discoteca preferiva la musica classica e Claudio Villa e che nel tempo libero si dedicava alla sua grande passione, la pittura. Nonostante abbia collezionato appena 64 gettoni in Serie A, con altrettante reti subite, nel proprio palmarès vanta 4 scudetti, una Coppa Italia, una Coppa Campioni, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa europea e una Coppa Intercontinentale. Niente male per essere una riserva.
Nato a Leno il 12 febbraio 1954, Bodini cresce assieme al fratello nel settore giovanile dell'Atalanta, dove è allievo di Carlo Ceresoli. Nel 1974 viene mandato in prestito alla Cremonese con cui disputa tre campionati di Serie C, conquistando la promozione nella stagione 1976-77. Tornato a Bergamo, fa il proprio esordio in Serie A l'11 settembre 1977 in Atalanta-Perugia (1-1), parando un calcio di rigore a Renato Curi. Dodici apparizioni il primo anno, 24 il secondo. Nonostante le prodezze dell’estremo difensore, però, la Dea retrocede, ma per Bodini il tempo in Lombardia è scaduto: arriva la chiamata della Juventus. “L’allora presidente dell’Atalanta Bortolotti mi chiamò, dicendomi che mi aveva venduto alla Juve. Allora decidevano tutto i presidenti - ricorda in un’intervista recente -, non c’erano procuratori, figuratevi che quando sei anni prima ero entrato nel vivaio nerazzurro fu mio padre a portarmi perché avevano visto mio fratello che era una mezzala e disse che se volevano lui dovevano prendere anche il portiere. Con Boniperti non c’era molto da discutere”.
Davanti a lui si ritrova un mostro sacro come Dino Zoff. Il portiere friulano ha però già 37 anni, pertanto Bodini si aspetta di prendere il suo posto ma “avevo fatto male i calcoli. Andò avanti ancora quattro anni, vincendo il Mondiale”. Nel 1983 per DinoMito giunge l’ora di appendere scarpini e guanti al chiodo. Spazio a Bodini? Non proprio: dall’Avellino arriva Stefano Tacconi: "Avevo finito bene la stagione, contribuendo alla vittoria della Coppa Italia e del Mundialito quindi mi sentivo sicuro delle mie potenzialità - ammette -. Nessuno mi aveva detto che sarebbe stato lui il prescelto. Anzi, sia Boniperti che Trapattoni mi garantirono che saremmo partiti alla pari e ce la saremmo giocata in ritiro. Dopo aver capito che la scelta era caduta su Stefano, andai in società facendo presente che c’erano altre squadre che mi volevano. Potevo fare il titolare altrove in Serie A, squadre di valore, ma Boniperti mi disse ‘finché io sarò qui, tu non te ne andrai, qualsiasi cosa accadrà’”. Decide di restare, anche se lo spazio per lui è esiguo.
Quando chiamato in causa, però, risponde sempre presente: “Nella finale di Supercoppa europea vinta 2-0 a Torino in mezzo alla neve contro il Liverpool scesi in campo con una maschera protettiva. Non come quelle di oggi, moderne e tecnologiche, giusto per sentirmi un po’ più protetto. Mi ero fratturato il setto nasale, ma non avrei rinunciato a quella partita per nulla al mondo”. L’altra grande occasione si presenta in Coppa dei Campioni quando, dopo i quarti di finale contro lo Sparta Praga, è l’assoluto protagonista del passaggio del turno contro il Bordeaux grazie a una super parata su Tiganà: “Mancava un minuto alla fine, ci andai d’istinto - ricorda -. Avevamo vinto 3-0 all’andata, stavamo perdendo 2-0. Se fossimo andati ai supplementari sarebbe tornato tutto in discussione. Il giorno dopo fu un piacere comprare i giornali e vedere che tutti mi avevano dato un voto alto. Non ero abituato a finire sotto i riflettori”. La grande prestazione fa pensare a un suo utilizzo anche nell’ultimo atto all’Heysel, ancora contro i Reds, ma Trapattoni rimette Tacconi a guardia della porta della Vecchia Signora: “Ho provato tanta amarezza nel momento in cui ho saputo di non poter disputare la finale. Ho ricevuto una fitta tremenda al cuore, ma col tempo il dolore è scemato e ho ripreso fiducia in me stesso e negli altri”.
Dopo dieci anni a Torino, milita una stagione nell’Hellas Verona e una all’Inter, sua squadra del cuore da bambino. Poi dice basta per dedicarsi alla famiglia e alle sue passioni: “Oggi vivo in Versilia e faccio il babysitter. Mi godo i nipoti, li porto al mare, respiro l’aria buona. Fino a qualche anno fa dipingevo, era la mia passione anche quando giocavo”.
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