Luciano Castellini, il leggendario Giaguaro del calcio italiano

Luciano Castellini, il leggendario Giaguaro del calcio italiano

Portiere dalle formidabili qualità acrobatiche che difese la porta di Monza, Torino e Napoli tra gli anni '60 e gli anni '80, ripercorre con noi i momenti legati alla sua lunga carriera

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Il Giaguaro inizia la sua carriera calcistica nelle giovanili del Monza. Nella compagine brianzola esordisce tra i grandi, venendo inserito anche nella Hall of Fame. Nel 1970 passa al Torino, squadra in cui conquista la Coppa Italia del 1970-71 e lo scudetto del 1975-76; nell’annata 1978 si trasferisce a Napoli, diventando subito un idolo della tifoseria. Successivamente al ritiro dal calcio giocato diventa dapprima preparatore dei portieri del Napoli, trasferendosi poi – nel 1988 – all’Inter, dove ricopre vari incarichi sino ai giorni nostri.

Luciano, tu nasci a Milano, ma nella tua carriera non hai mai vestito le maglie delle due squadre meneghine. Ti sei mai chiesto il perché?

Sinceramente no. Penso che lo scouting di allora, non fosse quello di adesso. Sono stato molto contento di essere notato dal Monza e di aver esordito in casacca brianzola”.

A Torino vinci uno scudetto indelebile, ma a Napoli l’affetto dei tifosi ti rende un’icona per l’intera città. Che rapporto c’era con i tifosi napoletani?

Sono stati dieci anni ad altissima intensità. Quando entri nel loro cuore i tifosi napoletani ti donano l’anima. È una città che avrò per sempre nel mio cuore”.

Proprio i tifosi, in un sondaggio indetto da radio Kiss Kiss nel 2010 ti nominano miglior portiere nella storia del club. Lo sapevi?

Certo! Molti voti li ho “comprati” io (ride ndi). Scherzi a parte, è stata una grandissima soddisfazione; direi doppia, perché ho avuto questo riconoscimento pur non avendo vinto nulla in azzurro”.

Come è nato il soprannome: Giaguaro?

Me lo diede il grande e unico Gianni Brera. Lui era amante della cucina lombarda ed un giorno cenammo sul Lago di Como; iniziammo quindi a chiaccherare dalle otto di sera fino alle tre del mattino; ti toglieva anche l’anima quando ti intervistava, anche perché non era una classica intervista con un giornalista, ma una amabile chiacchierata con un amico”.

Hai avuto anche il privilegio di vivere il primissimo Maradona “italiano”; come era il giovane Diego?

Penso che dopo venticinque minuti ogni compagno avesse messo la sua foto vicino al letto pregando che non si facesse male. Hai mai sentito qualche compagno di squadra parlare male di Diego? No, e sai perché?  Perché lui voleva davvero bene a noi compagni e noi ne volevamo a lui”.

Ti sei mai chiesto come sarebbe stata la tua carriera se non ti fossi imbattuto in Dino Zoff?

No. Lui era più forte di me e basta. Tra di noi c’era un bellissimo rapporto di amicizia al punto che è stato persino il mio testimone di nozze”.

Dopo aver finito di giocare, entri nello staff del Napoli, come preparatore dei portieri. Sei stato uno dei primi in Italia a rivestire questo ruolo; ti consideri un pioniere?

Inizialmente feci tantissimi errori; in primis quello di voler creare delle mie copie; non ci poteva essere cosa più sbagliata.  Poi con il tempo e l’esperienza capii quale era il percorso giusto da intraprendere”.

È vera la leggenda che ti imbattesti in un giovanissimo Pino Taglialatela e lo consigliasti al Napoli?

Assolutamente sì. Da giovane io mi tuffavo nel Lago di Como. Quando seppi che lui faceva lo stesso sul lungomare di Ischia, capii che poteva essere il mio degno erede”.

All’inizio degli anni ’90 ti trasferisci all’Inter, su suggerimento di Walter Zenga, che ti voleva a ogni costo. Ci racconti qualcosa in più?

Ti racconto un aneddoto: dovevo andare all’Inter già due anni prima per fare la riserva di Walter, ma alla fine non se ne fece nulla.  Mi ritrovai pochi anni dopo a fargli da preparatore. Mi ha sempre considerato il suo fratello maggiore e di questo sono, tutt’oggi, orgoglioso”.

Non sei riuscito a giocare in nerazzurro, ma sei da quasi trent’anni in società occupando diversi ruoli. Che esperienza è?

La mia prima squadra da piccolo si chiamava Inter Club, quasi fosse un segno del destino. Nel calcio ho conosciuto tante persone, ma lavorare con Ernesto Pellegrini e Massimo Moratti è stata l’esperienza più bella della mia vita. Quando sento nelle varie interviste dire di loro che “sono state delle brave persone” lo trovo estremamente riduttivo; voglio dire che oltre delle grandi persone, sono stati grandi presidenti che hanno fatto delle scelte importanti e che hanno portato all’Inter fior fiore di giocatori; quindi, giù il cappello!”.

Hai allenato numeri uno di grande livello: Claudio Garella, Walter Zenga, Gianluca Pagliuca, Francesco Toldo. Con qualcuno di questi sei rimasto più legato?

Abbiamo una chat comune con cui ci sentiamo spesso. Ad ognuno di loro mi legano tantissimi ricordi”.

Tra l’altro, dopo Taglialatela, hai segnalato anche Sebastian Frey e Julio Cesar; hai un vero e proprio “sesto senso” per questo ruolo?

Diciamo solo che sapevo fare bene il mio lavoro”.

Venendo all’oggi non posso esimermi da farti una domanda su Onana e Meret. Come li giudichi?

Onana si è inserito perfettamente nel meccanismo difensivo di Inzaghi. Meret non ha avuto una concorrenza spietata e così è potuto crescere con una certa tranquillità”.

Napoli in campionato e Inter in Champions League: “la accendiamo”?

Hai visto come ha giocato il City contro il Real Madrid? Sarà davvero durissima, ma penso che già conquistare la finale di Champions League sia un grande traguardo; sul Napoli cosa dire di altro se non che ha fatto un cammino straordinario ottenendo un risultato meritatissimo?”.

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