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Fu protagonista assoluto con la sua Nazionale nel decennio 1968-78, portandola al successo nelle Olimpiadi del 1972 e al terzo posto ai Mondiali del 1974
Il 3 settembre 1989 fu un giorno buio per il calcio mondiale, il giorno in cui il destino si prese l’ultimo respiro di Gaetano Scirea: un terribile incidente stradale avvenuto in Polonia, dove si era recato per visionare gli avversari della sua Juventus in Coppa Uefa, fu il momento conclusivo di una vita da vero campione del mondo, in campo e fuori. Di quella sciagura si ebbe notizia immediata, diversamente da quella che rimase più circoscritta relativa alla scomparsa, avvenuta due giorni prima, di Kazimierz Deyna, asso della nazionale polacca degli anni Settanta, che aveva terminato anch’egli anzitempo i suoi giorni sempre a causa di un brutale incidente stradale verificatosi sulle strade della California.
“Un destino uguale, una stessa verità… È troppo presto per andare, troppo presto per capire, troppo presto per morire. Perché presto, non si sa”: parole messe insieme dall’alto talento artistico di Renato Zero, applicabili senza riserva di essere inadatte alle vicende di due uomini che trovano diversi elementi di contatto: l’essere stati protagonisti assoluti del calcio internazionale, l’aver speso inconsapevolmente gli ultimi attimi della propria vita su una macchina e la Polonia, Paese nel quale si spense Scirea e di cui Deyna fu a lungo capitano e, a detta di molti, miglior calciatore di tutti i tempi.
La sua carriera era iniziata a metà degli anni Sessanta nel ?ódzki Klub Sportowy ed era proseguita nel Legia Varsavia, la squadra dell’esercito. La sua classe lo trascinò presto in prima squadra che, sotto la sua guida, tornò a vincere il campionato per due stagioni consecutive (1968-69 e 1969-70). Ma in un calcio non di primissimo livello, invisibile in occidente oltre le immagini sfocate della Cortina di Ferro, la possibilità di mettersi in mostra in un contesto internazionale poteva avvenire solo con la Nazionale. È grazie a lei che le qualità di Kazimierz riescono a superare i confini del Paese. A partire già dal 1972, quando ai giochi olimpici in Germania Ovest (sì, proprio quelli del massacro perpetrato dai terroristi palestinesi di Settembre Nero nei confronti degli atleti israeliani) Deyna si erge a protagonista indiscusso della manifestazione. Con prestazioni maiuscole conferisce alla Polonia le sembianze di un rullo compressore: nella finale contro l’Ungheria la sua doppietta è determinante. Sono gli ultimi due gol dei nove complessivi coi quali si afferma anche nella classifica dei cannonieri.
Ma proprio quell’anno, raggiunta l’età imposta dalla federazione polacca che consentiva ai calciatori di poter espatriare, Deyna trova il modo di farsi ammirare in un campionato straniero: è il Manchester City, che all’epoca non è ancora la squadra ricchissima dei nostri giorni, a metterlo sotto contratto. Una nuova sfida che, inizialmente, mette in difficoltà il campione dell’est: lui, abituato a tenere il pallone tra i piedi per poter dirigere il gioco, si trova a osservare lunghi spioventi che gli passano sopra la testa sui quali non può intervenire. I campi sono fangosi e bagnati, la mentalità è diversa, gli infortuni dietro l’angolo. Ma nonostante le poche apparizioni (nelle tre stagioni coi Citizens indosserà la maglia meno di una quarantina di volte) la sua classe riesce a riempire gli occhi degli inglesi.
La carta d’identità, però, rimane un paletto che nessun giocatore riesce a dribblare. Trentaquattro anni sono tanti per reggere i ritmi di un calcio che fa del dinamismo sfrenato la sua caratteristica principale. Deyna deve fare i conti col suo fisico ma a smettere non riesce proprio a pensarci. E allora cosa c’è di meglio dell’America per continuare a sentirsi un re, guadagnare bene e distanziare dal proprio orizzonte il tempo dell’addio? Il sole della California e il mare di San Diego di giorno, l’illusorio conforto dell’alcool la sera sono lo scenario nel quale Kazimierz vive gli ultimi anni del suo lungo tramonto. Ma c’è qualcosa dentro che non riesce a dipanare: quella malinconia oscurata dai dubbi e la paura di un futuro che sembra impossibile da immaginare, che trovano nello stordimento alcoolico un doloroso palliativo. Così, due giorni prima della fine di Gaetano Scirea, anche per Deyna lunga e dritta correva la strada. Dalla quale deragliò senza riuscire a salvarsi.
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