Leggi Guerin Sportivo
su tutti i tuoi dispositivi
Nato a Cernusco sul Naviglio il 25 maggio del 1953 e morto tragicamente a soli 36 anni, è stato un campione esemplare sia in mezzo al campo che fuori. Difensore dalla classe cristallina, con ila Juve e con la nazionale ha vinto tutto
Raramente si sono potute riscontrare tante qualità nella stessa persona. Prima di essere un calciatore straordinario, era una persona straordinaria. Definirlo campione potrebbe essere riduttivo per l’abuso di un termine che oggi ha quasi perso di significato, e non calzerebbe bene neanche top player, perché lui era semplicemente top. Oggi Gaetano Scirea avrebbe compiuto settant’anni, poco più della metà dei quali trascorsi sulla Terra; muore giovane chi è caro agli Dei, e lui non avrebbe potuto esentarsi dalla convocazione sull’Olimpo.
Era talmente lontano dal prototipo di calciatore attuale che necessiterebbe di una categoria a parte; troppo semplice, troppo, umile, troppo leale. È stato un esempio eccessivo per poter essere avvicinato, semplicemente perché era inarrivabile. Nel corso degli anni, la critica calcistica ha sempre trovato un erede, qualcuno che potesse essere il nuovo Rivera, il nuovo Maradona, il nuovo Zoff: nessuno è mai stato accostato a Gaetano Scirea, perché la distanza sarebbe stata incolmabile laddove lo spessore umano avrebbe reso impareggiabile qualsiasi slancio di natura tecnica.
La sua classe era cristallina; sapeva leggere lo sviluppo del gioco in maniera eccellente, aveva senso della posizione, stacco di testa, tempi di inserimento, capacità nella marcatura e un’apprezzabile tecnica individuale. I suoi interventi sull’avversario erano leggeri, era talmente superiore da non ricorrere al quel vigore agonistico imposto dal ruolo di ultimo baluardo difensivo piazzato davanti al portiere; era rapido e al tempo stesso intuiva con una fulminea velocità le fasi successive dell’azione: per questo, arrivava sempre in anticipo senza sporcarsi mai. Il suo stile era candido, aveva il difetto di non avere difetti. Aveva un’eleganza concreta, mai fine a sè stessa; aveva una gran classe, ma al tempo stesso efficiente, combattivo, determinante. Professione difensore, zero espulsioni in carriera: era questa la medaglia della quale andava più orgoglioso. Era uomo di azione e di pensiero, taciturno al punto di sembrare erroneamente quasi schivo. Era di poche parole, un modello di vita da seguire dentro e fuori dal campo.
Era nato a Cernusco sul Naviglio, e mosse i suoi primi passi da giocatore nel Serenissima San Pio X di Cinisello Balsamo, a quattordici anni - nel 1967 - superò un provino nell’Atalanta; giocò nelle giovanili della formazione bergamasca come ala d’attacco, ma le sue grandi capacità di organizzare il gioco alla fine spinsero gli allenatori a schierarlo come centrocampista. La svolta a livello di ruolo arriva all’inizio degli anni Settanta quando il tecnico della squadra Primavera Ilario Castagner decide di schierarlo come libero alle spalle della difesa. È un ruolo che sembra fatto su misura per Gaetano Scirea che a diciannove anni fa il proprio esordio in Serie A contro il Cagliari di Gigi Riva. Nell’Atalanta gioca da libero, e copre le spalle ad Antonio Percassi, oggi presidente del club nerazzurro.
Dopo una stagione in Serie B, nell’estate del 1974 viene acquistato dalla Juventus per 700 milioni di vecchie lire, i cartellini di Giorgio Mastropasqua e Gian Piero Marchetti, e la comproprietà dell’attaccante Musiello. Il giovane difensore non paga il salto di categoria, trova un immediato feeling con i compagni di squadra - in particolare con Dino Zoff - e raccoglie agevolmente l’eredità dell’esperto Sandro Salvadore, per anni riferimento della retroguardia juventina. La Juventus vince lo scudetto precedendo il Napoli in classifica, Scirea in campionato colleziona 28 partite mostrando da subito le proprie qualità assolute, tanto che a metà del campionato successivo arriva anche la convocazione di Fulvio Bernardini che lo chiama a Coverciano e lo fa esordire contro la Grecia (30 dicembre 1975) in un’amichevole che gli Azzurri vincono per tre a due. Per il difensore della Juve si apre un capitolo straordinario in Nazionale che si concluderà soltanto undici anni dopo, al termine dei Mondiali di Messico 1986.
Scirea partecipa ai Mondiali del 1978 in Argentina dove gioca sette partite sfiorando l’impresa; l’Italia è l’unica Nazionale in grado di battere i padroni di casa che alla fine del torneo si porteranno a casa la Coppa del Mondo. E’ una squadra bellissima quella allenata da Enzo Bearzot, che quattro anni dopo vincerà il Mondiale in Spagna in maniera trionfale. Scirea è uno dei leader silenziosi di quella squadra, che prende per mano l’Italia nei momenti di difficoltà fino a condurla al successo; guida una grande difesa con personalità straordinaria, e con una leggerezza tecnica tipica dei campionissimi. Nella finale di Madrid contro la Germania, lo troviamo nell’area di rigore avversaria mentre fraseggia con un colpo di tacco insieme a un giovanissimo Beppe Bergomi, poi serve a Tardelli l’assist per il raddoppio azzurro! Le immagini dell’epoca lo ritraggono a fine partita nei festeggiamenti; stappa una bottiglia, la scuote, sorridendo annaffia i compagni con lo spumante. È un frammento di storia italiana, il risveglio di un Paese dopo un periodo difficile, trascorso tra crisi economiche, lotte di classe e anni di piombo.
Quando Scirea diventa campione del Mondo ha già vinto con la Juve cinque scudetti, una coppa Italia e una Coppa Uefa conquistata contro gli spagnoli l’Atletico Bilbao. Al termine della stagione successiva al Mondiale eredita dal suo amico Dino Zoff la fascia di capitano della squadra bianconera. Sarà lui ad alzare al cielo la Coppa delle Coppe vinta a Basilea contro il Porto nel 1984. E nel gennaio del 1985 alza a Torino il trofeo della Supercoppa Europea vinta contro il Liverpool. Sarà ancora lui a prendersi la responsabilità di parlare al popolo juventino nella notte più drammatica della storia quando - all’Hysel di Bruxelles - muoiono 39 tifosi bianconeri dopo i vile assalto degli hooligans del Liverpool. “Non rispondete alla provocazioni, restate calmi: giochiamo per voi”. La Juve gioca, e vince la Coppa dei Campioni contro gli inglesi. Poi si prende anche la Coppa Intercontinentale vinta ai rigori contro i sudamericani dell’Argentinos Juniors.
I successi con la Juventus continuano ad arrivare anche in Italia, con altri due titoli nazionali (1984 e 1986) prima di tornare a giocare il terzo Mondiale per difendere il titolo vinto in Spagna dalla Nazionale. Ma in Messico, l’Italia di Bearzot non riesce a confermarsi, e viene eliminata agli ottavi di finale dalla Francia. E’ questa l’ultima partita di Gaetano Scirea con la maglia azzurra: 78 presenze e 2 reti. E un assist al Santiago Bernabeu che vale il terzo titolo mondiale: Eroici! In carriera non gli fu difficile vincere tutto quello che un calciatore avrebbe potuto vincere: Mondiale, Coppa dei Campioni, Coppa Uefa, Coppa delle Coppe, Supercoppa Europea. E poi sette Scudetti e due Coppe Italia. Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo entrò a far parte dello staff tecnico della squadra bianconera. Un tragico incidente automobilistico, avvenuto in Polonia il 3 settembre 1989, ne causò la prematura scomparsa. Il giorno dei funerali l’Avvocato Gianni Agnelli trascorse l’intera omelia in piedi, per rendere omaggio all’uomo che meglio di ogni altro aveva saputo rappresentare lo stile Juve.
Condividi
Link copiato