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Guerin Basket dopo la terza giornata di Serie A: Olimpia Milano e Virtus Bologna da sole, gli allenamenti personalizzati di Brescia, la vaccinazione di Irving e le nuove Virtus Roma.
Terza di campionato e classifica che si allunga, con Milano, sofferente e vittoriosa nel derby con Varese, e la Virtus Bologna, che ha demolito Venezia al Pala Taliercio, sole in testa alla classifica, pronte a fare il vuoto dietro di sé (fatiche di coppa, in particolare per Milano, permettendo). Primi due punti per Napoli su Treviso, e per Trento, convincente contro Cremona. Muovono la classifica anche la Fortitudo di Antimo Martino, vittoriosa contro una Pesaro mai in partita, e Trieste, che regola Brescia in casa, lasciandola in fondo alla classifica.
La vicenda inizia a maggio scorso: il presidente della Leonessa Brescia, Mauro Ferrari, nel corso di una conferenza stampa, annuncia la firma del nuovo allenatore della prima squadra Alessandro Magro, conferma l’arrivo di Amedeo Della Valle, lancia il nuovo corso della squadra basato sulla linea giovane, con Moss a fare da guida ai ragazzi e mette fuori rosa il veterano della squadra Luca Vitali “che non rientra più nel progetto”. Vitali però a Brescia, dove i 5 anni di militanza gli sono valsi il titolo tanto amato dai tifosi di “bandiera”, aveva (ed ha ancora) un altro anno di contratto e quindi non può essere ceduto senza il suo consenso ad altra squadra. Inoltre, per tenersi in forma, pur se fuori rosa, ha diritto ad allenarsi con un personal coach in attesa della chiamata di una squadra di suo gradimento. Chiamata che potrebbe arrivare da qui fino all’inizio dei playoff. La Leonessa dal canto suo ha messo a disposizione del giocatore un allenatore con cui tenersi in forma, per una sessione di allenamento che sembra a dir poco punitiva, iniziando alle 7 e 30 di mattina (difficile credere che coach, giocatore e disponibilità del campo non trovino una collocazione più dignitosa nel corso giornata). Finendo per rendere grottesca una situazione che è anche costata il posto di lavoro anche allo speaker del PalaLeonessa, reo di aver invitato il pubblico ad applaudire Vitali, presente in tribuna per la prima di campionato in casa e per questo sollevato dall’incarico. In una squadra è normale, se si vuole rifondare, avere una discontinuità con il passato, in particolar modo se il “patron” vuole dare una sua impronta. E Vitali non fa eccezione. A lasciare interdetti sono i modi in cui questo avviene, a danno dell’immagine di una società che al momento, con zero punti in classifica dopo tre giornate e l’ultimo posto in classifica in solitaria, pare avere ben altre cose di cui doversi occupare.
Mentre il campionato NBA è alle porte tiene banco la vicenda Kyrie Irving, talentuoso playmaker dei Brooklyn Nets, che ha deciso di non vaccinarsi. In realtà è facoltà del giocatore scegliere se vaccinarsi o no, perché la NBA non obbliga gli atleti a farlo (mentre i membri dello staff tecnico si), ma è l’applicazione delle leggi dello stato (o della città) in cui si gioca a determinare la possibilità di Irving di scendere in campo o meno. Nello stato del New Jersey, dove risiede la sua squadra, gli atleti non vaccinati possono allenarsi, ma non possono giocare. Quindi Irving, se non si vaccinerà (e i Nets non decideranno di liberarsi del suo contratto), salterà tutte le partite casalinghe e anche quelle giocate a San Francisco, dove risiedono gli Warriors e c’è una legge comunale simile. La NBA, per spingere i giocatori a vaccinarsi, ha dato facoltà alle franchigie di decurtare lo stipendio di giocatori “No Vax” per un ottantaduesimo dello stipendio, per ogni partita non giocata, ma il risparmio sul dovuto probabilmente non basterà a ripagare il danno generato. Irving è stato portato ai Nets dopo la poco fortunata parentesi di Boston e assieme a Kevin Durant e James Harden doveva costituire uno dei tre pilastri su cui rifondare (per l’ennesima volta) la squadra. Al di là del fatto che non vaccinarsi è un suo diritto, a complicare le cose, c’è il silenzio dietro cui si è trincerato il giocatore, che al riguardo chiede il rispetto della privacy e che secondo una breve dichiarazione di una sua parente, non si vorrebbe vaccinare per motivi personali. Quali che siano i motivi, devono essere ben fondati (Irving in passato ha anche detto che la terra è piatta e che alle scuole si imparano solo cose prive di fondamento) almeno nella coscienza del giocatore, che a quanto pare sembra disposto a rinunciare a metà stipendio e al contratto di sponsorizzazione con la Nike (che dovrebbe lanciare una linea di calzature da basket con il suo nome), e probabilmente al suo futuro NBA, avendo anche dichiarato che smetterà di giocare se i Nets si libereranno del suo contratto. Una tegola per i Nets che dovranno decidere se tenersi un giocatore a mezzo servizio, non nuovo a comportamenti fuori dalle regole senza motivazione, oppure farlo smettere di giocare.
La premessa: la scorsa stagione Claudio Toti ha ritirato la Virtus Roma dal campionato di Serie A, non avendo prospettive certe sulla vendita del titolo ad acquirenti terzi e trovandosi impossibilitato a proseguire nel pagamento di tasse e stipendi dei giocatori e dello staff. La Virtus è stata squalificata e Toti ha tempo per salvare il titolo sportivo fino a febbraio 2022 pagando una multa di 600.000 euro, centesimo più centesimo meno. Questa estate, a luglio Maurizio Zoffoli (ex presidente della Petriana, storica società di basket romano) e Alessandro Tonolli (ex capitano Virtus Roma) hanno fondato una nuova società sportiva, la Virtus Roma 1960, con settore giovanile, che giocherà nei campionati di basket maschile e femminile di serie C. Inutile dire che l’ambizione della società è quella di riempire il vuoto lasciato dalla sparizione della Virtus Roma, coinvolgendo i tifosi orfani della squadra capitolina. Ed è una ambizione legittima, anche se, ripartendo dalla serie C, sarà davvero difficile appassionare al progetto il grande pubblico. La scorsa settimana però, il presidente Toti ha contestato a Zoffoli la violazione dei diritti di esclusiva sul marchio che ancora gli appartengono. In particolar modo dell’uso della denominazione “Virtus Roma” e si è detto pronto per adire alle vie legali se sarà necessario. Toti difatti detiene i diritti del marchio Pallacanestro Virtus Roma, che esistono a prescindere della proprietà del codice di affiliazione (che comunque ancora gli appartiene). Quindi vuole tutelare la possibilità, che la multa venga pagata o no, di acquistare i diritti di una società di basket, dargli nome e marchio Virtus Roma e riportarla nella capitale, senza rischio di essere confuso con altri. Legittimo anche questo. Meno legittimo, per i tifosi, pare l’ennesimo capitolo di una storia che a Roma ha portato alla scomparsa di una società radicata sul territorio, l’unica che sapeva tenere i riflettori accesi sul basket di vertice, e alla sua probabile definitiva cancellazione.
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