Peter Schmeichel, "l'orco" della porta

Peter Schmeichel, "l'orco" della porta

Il danese è stato uno dei migliori interpreti nella storia del ruolo: dotato di enorme personalità, vincitore di tutto con il Manchester United, campione d'Europa con la Danimarca nel 1992, in carriera oltre a impedirli i gol ne ha pure segnato qualcuno...

17 novembre 2023

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Faceva impressione anche solo a vederlo, Peter Schmeichel: enorme, un blocco di marmo che quando ti veniva addosso metteva veramente paura, una specie di orco come nelle favole. Segnargli era molto difficile, se ne sarebbero accorti in tanti. Nella storia per quell'Europeo vinto con la Danimarca e per tutti i trofei accatastati con il Manchester United, ultimo baluardo della squadra di Sir Alex Ferguson: nel suo ruolo, uno dei migliori di sempre.

 

 

Schmeichel leggenda dello United

 

Peter, nato il 18 novembre 1963, è danese di nascita ma anche con sangue polacco: e basta vedere che mestiere facessero i suoi genitori per capire un po' della sua personalità. Mamma infermiera, a prendersi cura delle persone, e papà musicista jazz, quindi improvvisatore e in sostanza un po' imprevedibile, come vedremo nella carriera di Schmeichel.

Cresce nello Hvidovre (dove alterna allenamenti e partite a lavori come operaio in un'impresa tessile e uomo delle pulizie) prima di passare al Broendby, sempre nella Serie A danese: Peter con il suo club nel 1991 arriva fino alla semifinale di Coppa Uefa fermandosi davanti alla Roma. Contro i giallorossi sfodera nel doppio confronto parate sensazionali e ci vuole quella vecchia volpe di Rudi Voeller per beffarlo un'ultima volta. Del tutto sorprendente, la cavalcata del Broendby, che accende i riflettori su alcuni dei membri della rosa a cominciare da Schmeichel, appunto, che ai quarti contro la Torpedo Mosca para un rigore decisivo nella lotteria dagli undici metri dopo i supplementari.

Finisce al Manchester United per 550mila sterline nell'estate del 1991, un miliardo di lire circa. "L'affare del secolo", lo definirà così Alex Ferguson, l'allenatore dei Red Devils all'epoca non ancora Sir. La squadra dopo qualche anno anonimo in Inghilterra sta cercando di mettere fuori la testa, specie a livello internazionale, grazie al successo in Coppa delle Coppe sempre nel 1991 contro il Barcellona: il portiere è Les Sealey, idolo dei tifosi e un po' mattoide, che però ha rotto con la società perché ha ritenuto il rinnovo contrattuale non adeguato. Finisce all'Aston Villa mentre Ferguson opta per Schmeichel e non se ne pentirà.

Già nella sua prima stagione in Inghilterra chiude 22 partite senza subire gol, trascinando lo United al titolo che mancava da ben 26 anni. Vincerà il campionato altre quattro volte, l'ultima nel 1999, stagione in cui i Red Devils completano il "Treble", conquistando tutte le competizioni. Su tutte, la Champions League, nell'assurda finale contro il Bayern Monaco al Camp Nou di Barcellona: le reti di Sheringham e Solskjaer dopo il novantesimo a ribaltare il vantaggio di Basler, con l'1-1 in cui lo stesso Schmeichel ricopre un ruolo non banale, visto che si lancia alla disperata a caccia del gol lui stesso, nell'area dei bavaresi. E dopo il 2-1, indimenticabile la capriola con cui il danese festeggia, a dimostrazione di un'agilità spesso sottovalutata.

Un metro e 90 per circa 100 chili, Peter è un portiere completo, in realtà: agile, reattivo, bravo anche con i piedi e dalla personalità spiccata. Caratteristiche che in parte ha passato a suo figlio Kasper, vincitore con il Leicester nel 2016 di una Premier League assolutamente indimenticabile e titolare nella nazionale danese.

 

 

Quel rigore parato a Van Basten

 

Dopo il Manchester United gli ultimi tre club in cui Schmeichel ha giocato sono stati Sporting Lisbona, Aston Villa e Manchester City. Esperienze che possiamo definire secondarie, in particolare le ultime due, visto che in Portogallo almeno vince il campionato nel 2000. Certo, con l'Aston Villa diventa il primo portiere a segnare un gol nella moderna Premier League, con una botta al volo in mischia nello specifico, il 20 ottobre 2001 contro l'Everton. Nulla in confronto a quando, da ragazzino con la maglia dello Hvidovre, in una stagione era arrivato addirittura a quota 6, tutti segnati negli ultimi minuti delle partite al momento di salire alla disperata. Una rete la segna anche in nazionale, per non farsi mancare niente. 

Di sicuro però l'impatto avuto con il Manchester United ha marcato un'epoca, tanto che dopo di lui per anni i Red Devils hanno faticato a trovare un degno erede, forse fino a Van der Sar nel 2005. In mezzo, vari flop e momenti anche imbarazzanti tipo quello rappresentato, ahinoi, dal nostro Massimo Taibi.

Ciò che ha reso Peter ancora più grande, come del resto tutta quella squadra, è stato comunque l'Europeo vinto nel 1992 con la Danimarca. Si è scritto e detto di tutto, sulla nazionale ripescata all'ultimo al posto della Jugoslavia e capace di trionfare mettendo in fila gli avversari: Vilfort che fa avanti e indietro dalla Svezia per la figlia colpita da leucemia, l'assenza di Michael Laudrup e la presenza invece del fratello Brian, i gol di Henrik Larsen, ex del Pisa, e in generale una favola sportiva difficilmente replicabile.

In porta però c'era Schmeichel, montagna umana incubo per gli attaccanti delle altre squadre. Persino di Marco Van Basten, all'epoca realmente in modalità semi-divina. Di solito infallibile sui calci di rigore, il "Cigno di Utrecht" in semifinale si fa ipnotizzare da Peter nella lotteria che deve rompere l'equilibrio dopo il 2-2 dei tempi supplementari. Un tuffo a sinistra, come se fosse la cosa più facile del mondo, Olanda eliminata e Danimarca in finale, poi vincente 2-0 contro la Germania. 

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