Viaggio nella tattica del calcio: Europei 1996, 2000 e 2004

Viaggio nella tattica del calcio: Europei 1996, 2000 e 2004

Le prime tre “allargate” con la nuova formula a sedici squadre: da “Football’s coming home” a Belgio-Olanda fino in Portogallo analizziamo l’evoluzione strategica delle nazionali partecipanti

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Un passaggio chiave per l'evoluzione del calcio nelle edizioni degli Europei svoltesi a cavallo del cambio di millennio: dal campionato europeo ospitato dalla Gran Bretagna nel 1996, fino alla sorpresa clamorosa in Portogallo del 2004, passando per l'amarissimo (per noi italiani) Europeo del 2000.

Inghilterra 1996: il calcio torna a casa?

 

“Football’s coming home”, è questo il motto degli europei di Inghilterra 1996 che, nella testa di molti calciofili locali, avrebbe dovuto rappresentare una sorta di replica dei vittoriosi mondiali casalinghi del 1966. Invece, sotto il cielo di Wembley, si impongono gli odiati tedeschi, in quello che è stato il primo europeo allargato a sedici squadre partecipanti alla fase finale. Quest’edizione, contraddistinta da un gioco scialbo, estremamente difensivistico, vede nove squadre schierate con la difesa a quattro (Bulgaria, Danimarca, Francia, Italia, Portogallo, Romania, Russia, Spagna, Svizzera) e le altre sette utilizzare la difesa a tre o a cinque (Croazia, Germania, Inghilterra, Olanda, Repubblica Ceca, Scozia, Turchia). Su quale sia stata la formula tattica “migliore” della manifestazione ci sono pochi dubbi, dato che ben tre semifinaliste su quattro (Germania, Repubblica Ceca, Inghilterra) hanno utilizzato il 3-5-2, mentre l’unica “intrusa” a utilizzare il 4-3-1-2 è stata la Francia.

La Germania, vincitrice grazie al golden gol di Oliver Bierhoff contro la Cechia, rappresenta l’ultimo sussulto di gloria della “panzer generation”, ovvero del calcio teutonico tutto fisicità, corsa e muscoli, organizzato con marcature a uomo e libero staccato, in quell’edizione magistralmente interpretato da Matthias Sammer, poi vincitore del Pallone d’oro. La selezione di Berti Vogts gioca un calcio semplice e prosaico, ma tremendamente efficace: la squadra si affida soprattutto alle sventagliate di Sammer sulle due fasce dove i due esterni a tutta fascia Strunz e Ziege macinano chilometri su chilometri. In mezzo al campo Scholl e Haessler sono gli unici due elementi dotati di fosforo, mentre l’attacco prevede giocatori di fisico e potenza abili nel gioco aereo (Kuntz, Klinsmann e la riserva di lusso Bierhoff). La Repubblica Ceca di Dušan Uhrin, nazionale che nella sua epoca d’oro ha sempre giocato in modo offensivo, si schiera invece con una sorta di 3-4-2-1 ancora più conservativo di quello tedesco, con una sola punta (Kuka) sostenuta da due mezzali abili negli inserimenti (Berger e Poborský).

L’Inghilterra di Terry Venables, eliminata dalla Germania in semifinale dopo un rigore sbagliato da Gareth Southgate (attuale C.T. inglese), si schierava invece con un 3-5-2 più offensivo, con due centrocampisti d’attacco sulle fasce (Anderton a destra, McManaman a sinistra) e una mezzala di grande qualità come il “pazzo” Gascoigne in mezzo. Gli inglesi sono stati senza ombra di dubbio la squadra che ha schierato più qualità nel suo undici titolare. Infine la Francia di Aimé Jacquet, come detto, è l’unica squadra tra le prime quattro classificate ad aver utilizzato la difesa a quattro. Quello transalpino è un 4-3-1-2 abbastanza asimmetrico perché in realtà il trequartista Zidane parte sempre dalla sinistra per poi convergere al centro, affianco delle due punte Loko e Djorkaeff. Squadra abbastanza fumosa come da tradizione transalpina, la Francia ha mostrato una difesa di ferro con i vari Thuram e Blanc, ma poca concretezza nell’area di rigore avversaria, dove è mancato un grande terminale offensivo. È finita invece ai gironi l’avventura dell’Italia di Arrigo Sacchi, che neanche in Inghilterra ha derogato dal suo marchio di fabbrica (il 4-4-2) con Del Piero schierato esterno di centrocampo e Casiraghi e Zola di punta.

 

Il primo Europeo in due Paesi: Belgio-Olanda 2000

 

Edizione più felice, invece, quella di Belgio-Olanda del 2000, il primo europeo ospitato congiuntamente da due Paesi diversi. Dopo l’edizione precedente, contraddistinta da un calcio estremamente sparagnino e speculativo, nel Benelux ritornano in auge tecnica e “bel gioco”, grazie ai tanti “numeri dieci” che sono stati protagonisti della kermesse (Zidane, Totti, Rui Costa su tutti). Rispetto al torneo d’Oltremanica sono aumentate le formazioni schierate a quattro in difesa (ben dieci: Belgio, Danimarca, Francia, Inghilterra, Jugoslavia, Norvegia, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia) mentre sono solo sei le squadre che adoperano la difesa a tre/cinque (Italia, Germania, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia, Turchia), quasi tutte con scarsi risultati perché tra queste squadre solo la Nazionale di Dino Zoff è arrivata alla fine tra le prime quattro. Le altre squadre giunte alle semifinali (Francia, Olanda, Portogallo) hanno tutte utilizzato un modulo innovativo per l’epoca: il 4-2-3-1, ideato appositamente per esaltare il trequartista che in quelle formazioni rispondeva al nome rispettivamente di Zinedine Zidane, Dennis Bergkamp e Manuel Rui Costa.

La Francia di Roger Lemerre, che sconfigge in finale l’Italia grazie al golden gol di David Trezeguet, utilizza tale schema declinato in modo abbastanza asimmetrico, con una punta di movimento (Henry) come unico terminale offensivo e una punta di peso (Dugarry) spostata sulla fascia sinistra al fianco degli altri due trequartisti (Djorkaeff a destra e Zidane al centro). Dal punto di vista del gioco Les Coques si rivelano una squadra abbastanza cinica ed individualista, capace di capitalizzare al meglio, rispetto ai mondiali di due anni prima, il suo enorme potenziale d’attacco.

L’Olanda di Frank Rijkaard invece, eliminata in semifinale dall’Italia ai calci di rigore al termine di un match dal sapore epico, utilizza una punta di peso (Kluivert) supportata alle spalle da tre giocatori con caratteristiche diverse: un’ala pura a destra (Overmars), un fantasista atipico al centro (Bergkamp) e un’ala più tattica a sinistra (Zenden); una nazionale che, come da tradizione, dava pochi punti di riferimento in attacco, dimostrandosi però spesso inconcludente.

Più simmetrico, infine, il 4-2-3-1 mostrato dal Portogallo di Humberto Coelho, che prevedeva due ali pure (Conceição e Figo) e un trequartista (Rui Costa) alle spalle di una punta di movimento come Nuno Gomes; anche i lusitani tendono a giocare molto, ma concretizzando poca a causa della mancanza di peso in attacco. L’Italia di Dino Zoff infine è l’unica “intrusa” che utilizza il 3-5-2: sulle fasce a destra c’è il tornante (Zambrotta), a sinistra il classico fluidificante (Maldini), a centrocampo Fiore è l’uomo che maggiormente cerca l’inserimento, mentre davanti Totti agisce da seconda punta al fianco di Inzaghi. L’Italia è la squadra meno spettacolare tra le big del torneo: gli azzurri giocano spesso a strappi facendo affidamento su una grandissima tenuta difensiva e ad un Totti in formato extralusso davanti.

 

Portogallo 2004: Grecia, una sorpresa anni Ottanta

 

L’Europeo di Portogallo 2004, che avrebbe dovuto passare alla storia come il primo trofeo internazionale vinto dalla squadra lusitana, è passato invece alla storia come quello che ha mostrato al calcio europeo una delle più grandi sorprese calcistiche avvenute nel Vecchio Continente. Infatti, la Grecia di Otto Rehhagel si laurea campione d’Europa tra lo stupore generale, ma in maniera assolutamente meritata e legittima perché gli ellenici battono due volte i padroni di casa del Portogallo (nel match d’esordio e in finalissima) ed eliminano Francia e Repubblica Ceca ai quarti e in semifinale, sempre di misura (1-0), ma senza mai ricorrere ai calci di rigore.

La Grecia dal punto di vista tattico rappresenta veramente una squadra fuori tempo massimo, che sembra essere stata catapultata direttamente dagli Anni Ottanta nel calcio dei primi Anni Duemila. “Re Otto” Rehhagel, già autore dei miracoli Werder Brema e Kaiserslautern in patria, schiera la sua nazionale con un 4-3-3 mobile che però è tale solo sulla carta, in quanto gli ellenici marcano rigidamente a uomo i propri avversari, sia in difesa che a centrocampo, con Dellas che gioca da libero, senza però abbassare troppo il baricentro in area di rigore. Le marcature a uomo sono sempre elastiche e mai dogmatiche con l’undici ellenico che resta sempre corto e compatto in meno di trenta metri: insomma, chi parla di catenaccio relativo a quella squadra deve un po’ aggiornare il suo vocabolario calcistico. L’Europeo del 2004 è importante anche dal punto di vista dei sistemi di gioco perché in terra lusitana nessuna nazionale, tra le sedici presenti al taglio del nastro, si schiera con la difesa a tre, un fatto davvero notevole se si pensa che solo quattro anni prima erano state ben sei le formazioni a giocare con tre giocatori al centro della difesa. Un segno che con i primi Anni Duemila il calcio sta diventando sempre più fluido e meno legato al concetto di ruolo anche se la maggioranza delle contendenti (undici su sedici) schiera ancora le due classiche punte al centro dell’attacco. Una delle poche eccezioni è il Portogallo di Luis Felipe Scolari, che si schiera in campo con un 4-2-3-1 puro, con Pauleta unico terminale offensivo sostenuto alle spalle da un trio da leccarsi i baffi: un giovanissimo Cristiano Ronaldo, Deco e Figo. Come da sua atavica tradizione però la nazionale lusitana pratica un calcio molto “barocco” che sul più bello si smarrisce in una nuvola di fumo.

Un discorso simile può essere fatto per la Repubblica Ceca, la squadra che assieme al Portogallo ha espresso il più bel calcio della rassegna, ma che è stata “matata” in semifinale dal silver goal di Dellas. La selezione di Karel Brückner si schiera con una sorta di 4-1-4-1 asimmetrico estremamente accattivante. Galásek è l’unico giocatore certo di un centrocampo molto fisso dove stazionano Rosický (trequartista sulla carta, ma in realtà regista più arretrato) e Nedv?d (mezzala in partenza, ma che in realtà si inserisce spesso sulla trequarti), sulla fascia destra staziona Poborský con il compito di dare ampiezza alla manovra, mentre Baroš (capocannoniere dell’europeo) dall’altra parte gioca più all’interno affiancato alla torre Koller.

L’ultima semifinalista è l’Olanda di Dick Advocaat che per l’occasione gioca con un 4-3-3 razionale, con un centrocampo di sostanza (Davids – Seedorf - Cocu) e un attacco che fa affidamento a due ali pure come Overmars e Robben dietro all’ariete Van Nistelrooy.

Chiudiamo con l’Italia di Giovanni Trapattoni, una delle grandi deluse del torneo, vittima del “biscottone” scandinavo tra Danimarca e Svezia nella fase ai gironi. Il Trap schiera la sua nazionale con un innovativo 4-2-3-1 nella prima uscita (contro la Danimarca), anche se schierato in modo asimmetrico: in difesa, infatti, a destra gioca Panucci, un terzino “bloccato”, mentre a sinistra agisce Zambrotta che invece è un vero e proprio fluidificante. Di conseguenza anche gli esterni hanno compiti differenti: Camoranesi a destra è un’ala classica che regala ampiezza al gioco, mentre a sinistra Del Piero deve tagliare in diagonale verso al centro per affiancare Vieri e il trequartista Totti. Dopo la squalifica del “Pupone” a causa dello sputo a Poulsen, Trapattoni passa al centrocampo a tre con Pirlo vertice basso, schierando davanti il tridente Cassano-Vieri-Del Piero; ma tutto ciò non basta per passare ai quarti di finale.

 

 

 

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