Leggi Guerin Sportivo
su tutti i tuoi dispositivi
Il 16 novembre 1988, in un’amichevole con l’Olanda organizzata per celebrare i 90 anni della FIGC, il Divin Codino giocò la sua prima partita con la maglia azzurra
Ci sono date che entrano nella storia. Come il 16 novembre 1988, un mercoledì autunnale che il clima di Roma addolciva a suo modo. L’Olimpico portava i segni del futuro che incombeva su di lui e l’intero Paese: quello di un mondiale di calcio atteso come imperdibile occasione di un successo che avrebbe potuto dare lustro non solo alla Nazionale. La Curva Sud già demolita riduceva la capienza di un impianto comunque più che sufficiente ad accogliere i pochi spettatori (circa 28.000) che avevano trovato tempo, interesse e denaro per andare a vedere una delle tante amichevoli che attendevano l’Italia di Vicini da lì alla Coppa del Mondo 1990.
L’ospite è di assoluto rilievo: quell’Olanda che, pochi mesi prima, ha vinto il suo primo titolo internazionale battendo nella finale degli Europei l’Unione Sovietica. Una squadra che, dopo i fasti senza successi del calcio totale, è finalmente riuscita a trovare, dopo anni di declino, gli uomini giusti per arrivare ad aggiudicarsi un trofeo. E poco male se arriva a Roma con una rosa rimaneggiata. Anche gli Azzurri non sono in formazione tipo per via di svariati acciacchi acuiti dal poco valore del match amichevole, seppure organizzato per celebrare il novantesimo anniversario della nascita della Federazione. Uno di questi ha colpito Roberto Mancini, la cui assenza spinge nella lista dei titolari un ragazzo che, nonostante sia appena ventunenne, sta facendo parlare di sé da diversi anni. È già pieno di infortuni che la sorte gli ha comminato in misura direttamente proporzionale al talento. Vederlo giocare… anzi, più semplicemente, vederlo toccare il pallone è una carezza per gli occhi, un appagamento estetico che solleva l’anima. L’altalena inarrestabile tra abissi di dolore e vette di sublime piacere calcistico ha già cominciato a segnare il suo percorso in un mondo, quello del pallone, al quale è costretto ad appartenere per l’inesorabilità delle doti ricevute più che per le inclinazioni caratteriali. Già, perché Roberto Baggio, vicentino di Caldogno adottato da Firenze, nella sua pur breve carriera ha già assaporato le ferite degli infortuni gravi e le vertigini dei paragoni altisonanti. È un perfetto numero dieci, di quelli senza se e senza ma, che esprime il meglio del gioco individuale senza abbracciare gli indottrinamenti tattici di allenatori accecati dalla presunta onnipotenza degli schemi.
Nella squadra che Azeglio Vicini sta costruendo per replicare i fasti del 1982, Baggio arriva senza aver fatto parte di quell’Under 21 nella quale si sono formati molti dei compagni che ne accompagnano l’esordio con la Nazionale dei grandi. Un tirocinio che aveva sostituito con la determinazione che serve per riprendersi dagli infortuni che avevano steso sul suo futuro nubi di cupa incertezza. A quell’appuntamento era arrivato tra paura e sogni, sfortuna e dedizione, consapevole di una classe purissima minata da una fragilità cristallina. «È soltanto una partita. Non vorrei che qualcuno si aspettasse da me cose eccezionali” aveva dichiarato il futuro Divin Codino alla vigilia di quell’esordio che apriva per l’Italia scenari di bellezza da conservare agli Uffizi.
Con quell’amichevole dal sapore un po’ insipido, Roberto Baggio scriveva la prima pagina di un romanzo il cui valore emozionale andava ben oltre i numeri consuntivati a fine carriera. All’Olimpico, due anni più tardi, sarebbe stato tra i protagonisti di quelle notti magiche il cui profumo si sarebbe propagato alle generazioni future; negli Stati Uniti avrebbe sfiorato quel sogno che alimentava sin da bambino; in Francia una sua pennellata d’autore avrebbe meritato ben più che un rammarico pieno di sospiri. Le sue spalle esili e le ginocchia delicate si dimostrarono capaci di sostenere le attese di un Paese che in lui trovava il miracoloso punto d’incontro tra Guelfi e Ghibellini.
Il risultato (1-0) griffato da un gol di Vialli su assist proprio di Baggio, le critiche a una prestazione di squadra non indimenticabile, i dubbi sulle prospettive di una nazionale condannata a raggiungere un solo, terribilmente sfidante obiettivo, sfumano inconsistenti davanti al giudizio della storia, che al 16 novembre 1988 non può che assegnare il compito di ricordare un evento: quello dell’esordio di Roberto Baggio in Nazionale. Quanto di più vicino a Maradona era possibile vedere negli stadi italiani sul finire di quegli anni Ottanta.
Condividi
Link copiato