Quel Fiorentina-Milan da veder le stelle

Quel Fiorentina-Milan da veder le stelle

Il 4 ottobre 1992 la partita del Franchi finì 3-7 con le doppiette di Massaro, Gullit, Van Basten e il gol di Lentini. I viola pagarono lo scotto di una difesa improvvisata e della forza dirompente degli invincibili di Capello

Redazione Edipress

11 maggio 2019

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Dici Fiorentina-Milan e ti sovvengono immagini luminose di storia del calcio italiano: la lotta per lo scudetto del 1956, le sfide tra Antognoni e Rivera negli anni settanta, il primato mediatico di due presidenti come Mario Cecchi Gori e Silvio Berlusconi che, nella stagione 1992-93, ciascuno in proporzione ai propri specifici obiettivi e potenziali economici, presentano ai nastri di partenza rose di qualità.

L'ARMATA DI CAPELLO - I rossoneri sono alla seconda stagione post Sacchi, affidati alla solida guida di Fabio Capello che, dopo aver studiato lingue e management nelle strutture del gruppo berlusconiano, è stato scelto dal presidente per proseguire la scia di successi che, oltre alla gloria milanista, servono a costruire un’immagine personale sempre più vincente, della quale il buon Silvio si potrà avvalere due anni più tardi presentandosi alle prime elezioni politiche della Seconda Repubblica.

Il calciomercato ha portato a Milanello campioni come Papin, Savicevic e Boban oltre a buoni comprimari come Eranio e De Napoli, acquistati più per sottrarre alla concorrenza pedine di valore che per reali esigenze tecniche. Il fiore all’occhiello della campagna acquisti è però Gianluigi Lentini, stella del Torino di Mondonico dall’apparente futuro già segnato anche in nazionale, costato più di 18 miliardi di lire oltre al sospetto di un ulteriore corresponsione di denaro fuori bilancio che un processo sgambettato dalla prescrizione non potrà mai acclarare.

Insomma, un’armata con tante risorse a disposizione, che il 4 ottobre 1992 scende in campo al Franchi di Firenze col marchio dell’invincibilità: la sconfitta in campionato, infatti, è uno sfregio che il Milan non conosce dal 19 maggio 1991.

LA VIOLA - Anche la Fiorentina ha una buona campagna acquisti da sciorinare. Su tutti il tedesco Effenberg, il danese Brian Laudrup e l’attaccante Baiano, messosi in luce nel Foggia dei miracoli di Zeman a suon di giocate in verticale e gol. Sulla panchina viola siede Gigi Radice, tecnico ancora in auge votato alla zona, con qualche problema di relazione col vulcanico figlio del presidente, Vittorio, che di lì a qualche mese lo allontanerà da Firenze per motivi verosimilmente legati più a questioni extracalcistiche che a problemi di campo. La partita si preannuncia ricca di spunti tecnici e di curiosità, col Milan a punteggio pieno già in testa alla classifica (nonostante una partita da recuperare) e la Fiorentina ancora imbattuta.

LA SFIDA - E in effetti non ci vuole molto a schiodare lo 0-0 dal tabellone, visto che dopo un quarto d’ora Ciccio Baiano, approfittando di un’incertezza di Antonioli, porta in alto i cuori viola. Pochi riescono a  immaginare che quel vantaggio per la Fiorentina sia più deleterio di un autogol, perché da quel momento in poi i rossoneri cominciano a macinare gioco e occasioni che si tramutano in rete con facilità disarmante, frutto del connubio tra la sprezzante superiorità degli uomini di Capello e l’incerottata improvvisazione della linea difensiva approntata da Radice, costretto a rinunciare contemporaneamente a Luppi, Pioli e Malusci. Alla fine le doppiette di Massaro (ex senza remore, anche se a quei tempi non era ancora in voga la manfrina delle mancate esultanze per i gol inflitti alle squadre di precedente militanza), Gullit e Van Basten, oltre al sigillo di Lentini, costringono sette volte Mannini a rimandare sconsolato il pallone verso il centrocampo. Effenberg e Di Mauro rendono meno catastrofico un passivo (3-7) oltremodo gravoso che, sommato agli altri risultati eclatanti del pomeriggio (Genoa-Ancona finisce 4-4, Brescia-Foggia 4-1, Udinese-Pescara e Lazio-Parma 5-2), contribuisce a battere il record di marcature in una singola giornata di serie A.

Sono probabilmente gli effetti di assestamento dovuti alle nuove regole che, dall’estate di quell’anno, proibiscono ai portieri di prendere con le mani il retropassaggio dei compagni, costringendo le squadre a rivedere completamente il loro modo di giocare nei pressi dell’area di rigore. Motivazione comunque non sufficiente a giustificare il risultato del Franchi, probabilmente destinato a rimanere un unicum nella storia delle sfide tra viola e rossoneri.              

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