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Le squadre si trovarono spesso appaiate in lotta per il titolo: nel 1981 finì 1-1, nel 1986 una storica vittoria (1-3) lanciò il Napoli verso il tricolore mentre nel 1988 gli azzurri dettero spettacolo (3-5) sotto gli occhi di Kissinger
Gli anni Ottanta segnarono uno spartiacque nella storia italiana del XX secolo. Furono il nuovo orizzonte a cui puntare lasciandosi alle spalle anni di contestazione e violenza armata che aveva insanguinato il Paese. Anni di proiezione verso un futuro che il sentire collettivo presagiva essere diverso, più tecnologico, fondato su nuovi equilibri che anche nel mondo del calcio andavano definendosi. Già, perché fu proprio all’alba di quel decennio che ai vertici della serie A fecero capolino squadre, come Napoli e Roma, che negli anni seguenti avrebbero messo in discussione, fino ad usurparlo, il trono che le squadre del nord erano solite spartirsi tra loro. In particolare la Juventus era stata la regina quasi incontrastata degli anni Settanta e l’esame di ammissione nell’alta società del calcio italiano doveva per forza passare al suo vaglio.
La salita ai vertici del campionato per il Napoli cominciò nella stagione 1980-81, annata nella quale i partenopei, insieme alla Roma, misero fino all’ultimo in discussione il ritorno al titolo dei bianconeri. Il 25 gennaio 1981 gli azzurri andarono a Torino appaiati ai torinesi in classifica al terzo posto, a due soli punti dalla vetta. Era il Napoli che Rino Marchesi guidava con saggezza sulle solide fondamenta costituite da Castellini, Bruscolotti, Ferrario e Krol in difesa. Marangon scendeva sulla sinistra, Damiani e Pellegrini concretizzavano il lavoro di Vinazzani, Guidetti e Nicolini. Già al 2’ Pellegrini portò in vantaggio il Napoli, che nella ripresa fu raggiunto da un gol di Tardelli al 13’. Il duello andò avanti fino alla penultima giornata, quando proprio a Napoli la Juventus, vincendo, fece l’allungo decisivo per vincere il suo diciannovesimo titolo.
Quella squadra sembrava poter aprire un ciclo. Invece, dopo il buon quarto posto della stagione successiva, arrivarono due anni piuttosto tormentati, nei quali gli azzurri si ritrovarono spesso nei bassifondi della classifica e le trasferte a Torino si tramutarono in sconfitte indiscusse (3-0 nel 1982-83, 2-0 nel 1983-84). Anche nel primo anno dell’era Maradona salire al Comunale non fu piacevole: Briaschi e Platini stesero i partenopei in una partita che significava poco per la classifica, con i bianconeri proiettati alle conquiste internazionali (quell’anno vinsero Supercoppa Europea e Coppa dei Campioni) più che sulle vicende del campionato, che per quell’anno decisero di trascurare.
La scalata alla Serie A
L’assalto alla nobiltà che rappresentava la Vecchia Signora si fece più pressante a partire dalla stagione 1985-86. Alla ventiquattresima giornata (9 marzo 1986) la Juventus è stabilmente prima ma deve guardarsi le spalle dalla prodigiosa rimonta che la Roma sta mettendo in atto. Il Napoli è terzo, con ben nove punti di distacco dai bianconeri ma una sua vittoria, oltre che consolidare la posizione di classifica, potrebbe aiutare i giallorossi ad avvicinarsi ulteriormente a Platini e compagni. Che, in effetti, passano un brutto quarto d’ora a cavallo delle due frazioni di gioco, perché al 34’ uno sfortunato colpo di testa di Favero su battuta di Maradona inganna Tacconi e porta il Napoli in vantaggio. Bisogna aspettare il 4’ della ripresa perché Brio, su appoggio all’indietro di Bonini, con un diagonale preciso sul palo alla destra di Garella, faccia passare la paura che era calata sullo stadio sabaudo.
Dopo otto mesi esatti (9 novembre 1986) la sfida si ripropone. La Juventus, noblesse oblige, è sempre in vetta. Ma la distanza siderale con cui i partenopei si erano presentati a Torino la stagione precedente è scomparsa: Maradona & C. sono appaiati ai bianconeri in testa alla classifica con 12 punti. La gara si presenta come una sorta di spareggio che possa dare un orientamento sul futuro della stagione. Le due squadre ci arrivano con agitazioni diverse da gestire: la Juventus è stata eliminata in settimana ai rigori dal Real Madrid in Coppa dei Campioni, il Napoli deve proteggere Maradona dalle turbolenze della sua vita privata (Cristiana Sinagra ha da poco annunciato di aver avuto un figlio da Diego). Il popolo partenopeo sogna e, con migliaia persone, inonda il Comunale. La partita si sblocca solo all’inizio del secondo tempo: è Laudrup, al 5’, a mettere in rete da pochi metri una ribattuta di Garella. Sembra lo svolgimento del solito copione: in realtà è solo un abbaglio. Paradossalmente lo svantaggio dà una scossa alla squadra di Ottavio Bianchi, che nell’ultimo quarto d’ora capovolge il risultato: Ferrario, Giordano e Volpecina regalano una vittoria che sa di scudetto che proprio l’Avvocato Agnelli, qualche tempo prima, aveva pronosticato. Lo stadio esplode, lasciando sorpreso anche il Pibe de Oro. Nella sua autobiografia, ricordando quella partita, dirà: “Tutti festeggiavano... ma noi non capivamo. Quando avevano segnato loro si era sentito un timido 'gol', e basta. Segniamo il secondo e di nuovo tutti a festeggiare. Il terzo, ancora di più. Lo stadio era pieno di operai, tutti del sud! Terminarono gridando Na-po-li! Na-po-li! Fu una cosa impressionante!". È la prima vittoria a Torino dopo ventinove anni.
Il 20 novembre 1988 arriva l’ultima affermazione in casa juventina degli anni Ottanta. L’anno prima il Napoli, nel pieno di quel cammino rallentato nella seconda parte di stagione che permetterà al Milan di Sacchi di scucirgli lo scudetto dalle maglie, aveva perso 3-1 (Cabrini, Rush e De Agostini per la Juventus, Careca per gli azzurri). Ma la nuova stagione porta altri entusiasmi e, soprattutto, un organico diverso. Salutati in malo modo Garella, Ferrario, Bagni e Giordano, la squadra riprende la sua marcia in Italia e in Europa. Dopo la quinta giornata di campionato le squadre, come due anni prima, sono appaiate in classifica ma al terzo posto, con 7 punti. Questa volta la partita si sblocca già nel primo tempo: è Napoli show con la rete di Carnevale e le due di Careca. Nella ripresa la Juve reagisce d’orgoglio, accorcia con Galia e Zavarov prima di subire il 2-4 ancora per mano di Careca. I rigori negli ultimi minuti di De Agostini e Renica, concessi con gentilezza dall’arbitro Lanese, ampliano il risultato che lascia sorpreso anche Henry Kissinger, spettatore d’eccezione al fianco di Gianni Agnelli. Del resto gli anni Ottanta furono così: un ballo effervescente tra edonismo e vanità che cancellò la tradizione di un campionato che un tempo viveva di punteggi risicati.
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